
Paolo Pagliani
Gentile direttore, sono rimasto amareggiato dalla notizia sul divieto posto dal preside di una scuola di Bergamo di rappresentare il presepe. Divieto motivato dal timore che questo possa discriminare i ragazzi appartenenti ad altre culture. Credo che anche chi professi una fede diversa, possa tranquillamente accettare l’idea che il presepe sia un’antica tradizione del nostro popolo che va difesa, tutelata e rispettata. Non possiamo rinnegare il nostro culto, nè tantomeno abbandonare le radici della nostra storia. Significherebbe privarci della memoria che ci appartiene e senza di essa, non avremo neanche un futuro. Si parla tanto di integrazione, di globalizzazione, di commistione di civiltà e costumi e poi si ha paura che un presepe, simbolo di amore e di pace, possa dividere gli uomini. Allora il problema quale è? Anzi di chi è? Forse la paura di “un bambino nella mangiatoia” è degli adulti, di coloro che non sono capaci di inginocchiarsi davanti ai piccoli, ai poveri, agli ultimi.
Cordialità
Paolo Pagliani
Sono rientrati i giovani che hanno partecipato la scorsa estate alle esperienze missionarie in Perù e Albania.
Non un viaggio ma un cammino, non una terra di Missione da visitare ma tante terra di Missione da incontrare. E’ stato questo il filo conduttore delle esperienze missionarie di 2 gruppi di giovani che sono partiti questa estate per Pucallpa in Perù, dove come Gruppo Parrocchiale Missionario seguiamo un progetto dal 2010, e in Albania.
Un viaggio che è cominciato molto prima della data prevista per la partenza, con un percorso di formazione che ha coinvolto tutti i ragazzi, e che, nonostante il rientro non si è ancora concluso. Nel loro cammino sono “passati” nel cuore sentimenti diversi: entusiasmo, quello iniziale per un’esperienza nuova e accattivante, per la prospettiva della partenza; il dolore e la fatica di guardarsi dentro e di fare i conti con certe parti nascoste e da rifiutare ma che la missione inevitabilmente ti “ributta” addosso e infine la paura ….La paura di chi si rende conto che nonostante le finte “aperture” l’idea di incontrare così tanto “altro” può mettere in difficoltà, paura di non essere capaci di gestire quest’”abbondanza di altro” e di non essere capace di lasciarsi toccare !!
In effetti non è facile uscire da se stessi, dalla propria cultura, allontanarsi dalla propria gente, dalle proprie abitudini, dalla propria idea di Gesù, di Chiesa, di povertà, di solidarietà e fare i conti con una terra straniera, una terra di Missione….anzi tante.
Paure dissolte in un attimo, al primo contatto con la gente, persone a te sconosciute ma che incontrandoti anche per la prima volta non ti risparmiano un sorriso, un caloroso saluto, piccoli particolari che da noi sono forse abitudine, ma che in terra di Missione sono testimonianza di sentimenti forti, di amore senza barriere, senza frontiere.
E così la missione è diventata soprattutto STARE e vivere il quotidiano senza fare nulla di straordinario. Ha fatto capire come le fatiche quotidiane, le situazioni di dolore incontrate e con le quali si sono misurati, le domande e gli interrogativi senza risposta, la rabbia o la gioia che li ha accompagnati nel loro periodo di permanenza in terre lontane, tutto questo era da offrire al Signore, perché tutto questo era già preghiera !
La consapevolezza che nel loro periodo di permanenza fosse più importante imparare piuttosto che insegnare, di non sentirsi investigatori alla scoperta di chissà quali scoop, ma osservatori attenti per vedere e condividere la vita dei missionari e dei fratelli che li hanno accolti. Non portatori di ricchezze, di idee, esperienze di vita occidentale, ma al contrario il sentirsi arricchiti dalle testimonianze di vita vissuta in quella terra, sognando l’incontro con una cultura e una mentalità sicuramente diversa dalla nostra ma certamente desiderosa di crescere e migliorare ogni giorno.
Tutto questo, al loro rientro, gli permetterà di vivere al meglio le opportunità e le circostanze che ogni giorno la vita offre. E mi piace riprendere, per concludere, una preghiera di Papa Giovanni Paolo II: “ E’ dai giovani che parte il futuro. I giovani possono prendere il buono del passato e renderlo presente. Nei giovani sono seminati la santità, l’intraprendenza, il coraggio. Maria, Madre dei Giovani coprili con il tuo manto, difendili, proteggili dal male, affidali a tuo figlio Gesù e poi mandali a dare speranza al mondo.”
Bentornati, ragazzi e buon cammino.
Tano Lusuardi
Al Teatro Franco Tagliavini, sabato 6 aprile ore 21.00
Etoile Centro Teatrale Europeo, sabato 6 aprile alle ore 21.00, presso il Teatro Franco Tagliavini presenta Waller Corsi e Gabriella Pellini nello spettacolo “Sei venuta per dirmi questo”, diretto da Daniele Franci. Lo spettacolo, inserito nella rassegna teatrale novellarese è liberamente ispirato al libro “Mathilde” di Véronique Olmi, storia che parla di un amore messo a serio repentaglio e dove il pubblico si troverà inevitabilmente a prendere le parti di uno dei due protagonisti. Ma il divenire degli eventi permetterà al pubblico presente anche d’ascoltare e capire le posizione degi due coniugi. La protagonista femminile Mathilde, torna a casa dopo 3 mesi passati in prigione per aver avuto una relazione sessuale con un minorenne consenziente. Stanca e distrutta dalla solitudine, Mathilde affronta una notte tormentata con il marito: rancori, insuccessi e illusioni infrante vengono a galla. I due coniugi ricominciano con fatica a parlarsi e infine si insinua sempre più forte la volontà di cercare le ragioni della loro convivenza, e di verificare se le ferite del loro amore possono rimarginarsi. Una notte che aprirà la speranza di una rinascita della coppia?
Ingresso spettacolo:
intero euro 13.00
ridotto 11.00 (under 25 e over 65)
Informazioni presso:
Ufficio Teatro 0522-655407
Biblioteca comunale 0522-655419
La gioia non è di un altro mondo!
Siamo noi gli alieni che non sappiamo cercare.
Siamo noi che vogliamo senza saper dare.
Siamo noi che ci trastulliamo nelle tristezze, nel pudore, nel timore dei giudizi di chi teme di peccare, amando ciò, che ci fa fremere il cuore, ma che non ci appartiene con atto indissolubile certificato dalla morale.
Siamo noi gli alieni incapaci di vedere in un’opera d’arte il sorriso della vita o che in un fiore sboccia l’avvenire.
Siamo noi gli alieni frenati nella gioia di regalare una carezza, una parola, un piccolo gesto d’amore, che sarebbe una speranza per chi non l’ha mai avuta o per una certezza per chi si sente trascurato.
Siamo noi gli alieni, viviamo nel mondo dell’apparenza dove tutto si riduce a fretta e a vanitosi schermi o deformi specchi in cui cerchiamo la nostra immagine e non ci riconosciamo riflessi al naturale nella verità di una limpida pozza d’acqua.
Buona giornata
Paolo Pagliani