FAME IN AFRICA: SEMPRE PEGGIO

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Se la globalizzazione significa che i ricchi e i potenti hanno nuovi mezzi per arricchirsi ulteriormente e potenziarsi sulle spalle dei più poveri e più deboli, abbiamo il dovere e il diritto di opporci in nome della libertà universale. (Nelson Mandela)

Gentile direttore, secondo un autorevole dirigente dell’ONU, venti milioni di persone rischiano di morire di fame per carestia e siccità (oltre a conflitti) in quattro Paesi africani (Yemen, Sud Sudan, Nigeria e Somalia). Una crisi spaventosa; servirebbe un intervento immediato. Oggi la fame che perseguita grandi parti del mondo determina migrazioni epocali, bibliche. Il Mediterraneo ogni giorno è tomba di una disperata umanità che cerca di superare i confini visibili e invisibili che la privano del cibo quotidiano. Le madri, che affidano a criminali scafisti le sorti di un bambino che forse non vedranno mai più, si separano dal proprio affettivo biologico, nella speranza che il figlio possa avere un giorno la certezza di mettere insieme il pranzo con la cena e che quel cibo che ora manca sia finalmente condito di libertà e democrazia. Sono sotto gli occhi di tutti gli effetti di un sistema politico-economico che, a settanta anni dalla Dichiarazione universale dei diritti umani, non solo non ha eliminato le ingiustizie ma le ha moltiplicate, nonostante gli studi più seri e documentati dicano che il nostro pianeta avrebbe tutte le risorse per garantire ad ogni persona una vita dignitosa. La povertà, la miseria dei disperati, non sono calamità, fatalità o un prezzo da pagare a una malintesa idea di “sviluppo”. Sono invece il frutto di scelte che hanno svuotato la politica della sua anima sociale, cioè della sua principale responsabilità, uniformandola a logiche economiche che tanto badano ad accumulare profitti quanto poco a suddividerli con un minimo senso di equità. Sono dissonanze intollerabili. Occorrerebbe mettere a dimora il seme del buonsenso e della dignità di ogni abitante della nostra casa comune: la Terra.

Cordialità
Paolo Pagliani

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Riflessioni giornaliere

locandina-a4Sono un vero amico di Paolo Pagliani e con poche parole cercherò di dimostrarlo. Non è mio coetaneo, perciò è un bene per lui altrimenti l’età comincerebbe a farsi sentire negativamente. La sua compagnia è preziosa. Persona educata, ha avuto un passato professionale di tutto rispetto, culturalmente molto preparato e con una forte passione per la scrittura. Questo libretto ne è una testimonianza, come quelli già pubblicati e le lettere che spedisce a giornali locali e nazionali. Nella lettura dei suoi scritti, occorre prepararsi e concentrarsi in modo di apprezzare il suo pensiero avendo un contenuto di riflessioni assai acute. A conclusione, posso testimoniare la sua onestà morale. Al solo pensare che il ricavato della vendita verrà devoluto in beneficenza, precisamente alla Caritas locale, è una conferma. Forza, amici lettori, comprando il libro, aiuteremo Paolo a fare del bene, cosa un po’ rara di questi tempi.

Giovanni Franzoni

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BENESSERE E FRAGILITÀ

resilienzaGentile direttore, tutti siamo alla ricerca di qualche forma di benessere, spesso ci si ferma all’idea di un benessere materiale, inteso come disponibilità di mezzi, ma è altresì importante guardare oltre. Benessere, letteralmente vuol dire <<essere bene>> cioè imparare a star bene con se stessi, con gli altri, con il mondo. Il primo ambito che viene in mente è quello della salute fisica, in cui il benessere, lo <<star bene>> significa certamente cercare di conservarsi in buona salute, ma anche saper affrontare <<bene>> le esperienze di malattia e di fragilità. Quando guardiamo a certe situazioni <<da lontano>> possiamo avere l’impressione che siano difficili da affrontare ma talvolta – quando ci troviamo in mezzo a questi momenti – scopriamo di avere più forza e più energie di quanto sospettassimo. Vi è un termine tecnico, che illustra questa condizione, si chiama <<resilienza>>. Il primo significato di questo termine indica la capacità di un materiale (tipicamente un metallo) di assorbire un urto senza rompersi, in psicologia e in pedagogia indica la capacità di una persona di affrontare un evento traumatico o un momento di difficoltà. Tra gli eventi critici a cui prepararci in ottica <<resiliente>> vi sono lutti e tragedie, che certamente abbiamo motivo di <<temere>> ma a cui ci si può accostare con spirito positivo, come San Francesco, che riusciva a rivolgersi alla morte come ad una <<sorella>>.

Cordialità
Paolo Pagliani

AZZARDO: AFFARE di STATO

Gentile direttore, sono ancora troppi i cittadini del nostro Paese che credono al “vincere facile” e che si possa diventare “turisti per sempre”. Come comunica il ministero dell’Economia, nel primo trimestre 2016 l’Erario ha incassato in tasse su slot, scommesse, lotterie, una cifra di 420 milioni superiore allo stesso periodo del 2015; si tratta di di una crescita del 14%, la più alta di tutte le tasse. E’ chiaro che l’azzardo con questa performance, trovi parecchie resistenze a ridursi; “l’offerta di gioco” deve invece essere incrementata per favorire maggiori incassi dello Stato. L’aumento delle entrate erariali è dovuto al mercato in continua espansione; in altre parole si “gioca” sempre di più e in tutte le modalità. La spesa pro-capite degli italiani è arrivata a 1517 euro annui, un’iniezione di denaro che crea un giro d’affari di 88 miliardi di euro. E così quello che in passato era il modo migliore per socializzare e divertirsi, il gioco, si è trasformato <<in vera tragedia>> dove le persone più fragili <<sono vittime di un’azione diabolica che distrugge la serenità, le persone e le famiglie>>. Chi s’illude nella rincorsa della “dea bendata” perde casa e affetti mentre i governi in questi anni sono stati sordi: l’importante far cassa. Un problema su cui gli italiani spendono il 12% del proprio reddito perdendo 70 milioni di ore di lavoro e in cui la possibilità di vincere è 15 mila volte meno probabile che un asteroide colpisca la terra. <<I legislatori con la scusa di legalizzare il cosiddetto “gioco” d’ azzardo, si sono mossi come gli apprendisti stregoni trasformando il Paese in un casinò diffuso nel pieno della crisi economica e morale più dura del dopoguerra>>. E’ questo il rigido atto di accusa con cui si apre la lettera al capo dello Stato dal comitato SlotMob che è sceso in piazza per dire “no” a <<questa inaccettabile e vergognosa sudditanza>>. Dietro questa istanza, c’è il volto di un’Italia “sana” che vuole liberarsi dall’ossessione delle macchinette che ha mietuto molte vittime nascoste in questi anni. Un volto fatto di tante realtà che non merita la prima pagina perché ha il sorriso di bambini, famiglie e anziani, di nuovo in campo, per giocare. In modo pulito, stavolta.

Cordialità
Paolo Pagliani

UNA GRANDE FUGA RISCHIOSA

Gentile direttore, il mondo ci offre grandi occasioni ed è giusto che i nostri figli le sfruttino; che vadano pure all’estero a cercar fortuna, a creare, produrre e innovare. E’ la natura umana: esplorare ed essere curiosi. Tra l’altro, i 100 mila li abbiamo sostituiti con 245 mila stranieri, a cui aggiungere 30 mila italiani rientrati. Il saldo è positivo. Eppure il dato dell’Istat ha suscitato clamore e avrà strascichi politici che, come al solito, si risolveranno in nessuna reazione concreta. Ci dovremmo invece preoccupare per due ragioni. La prima è che il numero di chi esce si è alzato mentre il numero di chi entra è andato progressivamente riducendosi. Il Paese è meno attrattivo. Così come non arrivano gli investitori, arrivano meno lavoratori stranieri. La seconda ragione è molto più preoccupante ed è strettamente connessa alla prima. Perché quelli che se ne vanno sembrano essere i cosiddetti Cervelli in Fuga, giovani molto qualificati che in Italia non vogliono più stare perché frustrati da un sistema che premia le relazioni familiari, corporative, invece di esaltare la competitività e l’intraprendenza, cioè il merito. Le istituzioni, così come molte Università e imprese del settore privato, non riconoscono le competenze dei nostri giovani favorendo la mediocrità. E così scappano dalla burocrazia e da quella cultura genuflessa sul passato che ha rinnegato qualsiasi visione sul futuro. E’ un atteggiamento che purtroppo sta attecchendo in molte parti d’Europa spingendo ragazzi verso gli USA e sempre più verso l’Asia dove, invece, si costruisce il domani. Ne consegue, altro problema, che quelli che corrono da noi, eccezioni a parte, sono individui poco qualificati che trovano nel nostro Paese una speranza ma non un’opportunità.
Il saldo quantitativo di questo processo migratorio è positivo ma quello qualitativo è purtroppo desolatamente negativo. Perdiamo valore, perdiamo energia, perdiamo il futuro. I “talenti” sono una risorsa soprattutto nel contesto socio economico attuale dove la competitività si guadagna con le conoscenze e la capacità di fare innovazione; sono il motore del cambiamento. Se ne sono accorti i Paesi asiatici, anglosassoni, americani in cui non si vuole solo attrarre ma si vuole seminare spedendo i loro figli intorno al globo a contribuire e imparare. Per noi questo saldo negativo ci deve allarmare perché ovunque si punta tutto sulle competenze globali e dell’evoluzione tecnologica. Basta proclami, servono le riforme, certo, ma serve soprattutto una visione, l’idea di futuro che da troppo tempo ci manca.
Cordialità
Paolo Pagliani

INQUINAMENTO DA INTERNET

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Gentile direttore, sabato scorso si è festeggiato il 30° anniversario di Internet; da Pisa (CNR) partì il segnale che arrivò in Pennsylvania e da allora si sono moltiplicate le persone che usano la rete navigando il web in lungo e in largo. Il fatto che le tecnologie intelligenti e tutte le nostre connessioni sociali, possano essere “inserite” fin nel più più piccolo atto della nostra vita quotidiana potrebbe sembrare meritevole di apprezzamento, non di atteggiamento sospettoso. Leggendo però un calcolo dell’Agenzia francese per l’ambiente si deduce che non solo chi crea e gestisce la rete inquina. Anche noi – e non poco – contribuiamo al peggioramento della salute del Pianeta e del clima. L’esempio più lampante è quello delle email dove un messaggio da un megabyte produce circa 19 grammi di anidride carbonica. Ne bastano otto al giorno per spargere nell’atmosfera, una quantità di CO2 pari a quella prodotta da una macchina che percorre un chilometro. Immaginiamo un’azienda con 100 dipendenti che inviano in media una trentina di email al giorno: in un anno lavorativo (220 gg.) con oltre 13 tonnellate di anidride carbonica, arriverà ad inquinare come 13 voli andata e ritorno da Parigi a New York. E non basta, anche i click inquinano: sette grammi di CO2 cadauno per l’esattezza mentre con due si consuma la stessa energia che occorre a far bollire un pentolino d’acqua per una tazza di tè. Se pensiamo che Google conta su 33 mila click al secondo, possiamo avere un’idea dell’impatto che il nostro dito ha sul Pianeta.

Cordialità
Paolo Pagliani

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LA PASQUA DEI PROFUGHI

ungheria-confine-serbia-muro-profughiGentile direttore, guardando i filmati e leggendo i giornali, non riesco ad immaginare ciò che provano i migranti in questi giorni, per noi festosi, in veri e propri “campi di detenzione” come a Idomeni in Grecia. Al gelo delle lunghe notti – è passato un mese, da che li hanno bloccati al confine nei Balcani – sotto un tetto di nylon, come una quarantena per malati contagiosi. Gridano “Open the border”, aprite il confine, per non essere dimenticati, seduti su delle pietre e sui binari della ferrovia, ognuno davanti agli altri, agli occhi della moglie, dei figli dove degrado e condizioni igienico sanitarie aumentano il rischio di epidemie. Sono dovuti andar via dal loro Paese, non per aver pane e aiuto ma per salvarsi dai bombardamenti e dai cecchini. Ora cucinare una zuppa di quattro cipolle e due pomodori, rimestata nel fondo di un barattolo di latta, nero di fuliggine, che penzola da un fuoco improvvisato, all’aperto, dove ad ardere non è la legna ma pezze di felpe e stracci di coperte sintetiche, è già molto. Tante le donne, silenziose, moltissimi i bambini (il 10% orfani), che almeno con i giochi portano un sorriso, un respiro tra le centinaia di tende a igloo sparse dappertutto a pochi passi da quel cancello chiuso. Quel grido “Apritelo” fa male e rabbia di quella folla (15 mila) nuda di difese, provata dal dover vivere come un fuggiasco braccato. Esseri umani che sanno cosa significa il dolore non ne hanno più paura. Come quell’uomo disperato che esaurita la pazienza, si è cosparso di liquido infiammabile dandosi fuoco. Urlava: <<Open the border>> mentre lo trasportavano all’ospedale. Mi chiedo dove sono i diritti dei rifugiati e umani e la presenza dei vigilanti dell’ Onu contro l’indifferenza della politica.
Cordialità
Paolo Pagliani
Reflex