INVESTIAMO SULLA NATALITÀ

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Gentile direttore, l’allarme natalità non figura mai tra le priorità dell’agenda politica. Eppure tra meno di vent’anni, la diminuzione di lavoratori attivi e il conseguimento degli anziani renderanno impossibile sostenere il nostro sistema di welfare. Servirebbero misure efficaci (davvero), per favorire le giovani coppie. Ma allo stesso tempo, è indispensabile un’azione culturale univoca, tesa a dimostrare che il “far famiglia” non è solo bello e giusto ma è un vantaggio per tutti. La denatalità non è un fenomeno casuale, che spunta all’improvviso. Deriva dalla disgregazione della famiglia. Deriva dal nostro modello di coppia. Dal crollo dei numeri di matrimoni. Dalla costante impennata di separazioni e divorzi dell’ultimo trentennio. E’ urgente investire sulla natalità (più nascite più crescita) cambiando rotta al declino demografico dando valore ai figli come bene sociale da tutelare E ancora: andiamo oltre l’assistenzialismo riconoscendo la famiglia come prima cellula della società; diamo un’alternativa all’individualismo puntando su padri, madri e i figli. Certo anche gli interventi economici (incisivi sgravi fiscali) sono necessari ma, come dimostrano le esperienze di altri Paesi europei, non fanno la differenza. Per questo è indispensabile un grande progetto educativo su amore e sessualità – cioè sulle ragioni stesse della vita – da costruire con il contributo di tutti. E’ essenziale che l’intera società, in modo trasversale, senza barriere etniche, culturali o religiose, si faccia carico di questa drammatica emergenza.

Cordialità
Paolo Pagliani

NATALE IN TONO MINORE

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Gentile direttore, conversando con amici abbiamo notato un Natale che ha perso il vero significato, riducendosi a consumo e spreco. E’ stato un tempo in cui si sono alternati a più non posso auguri di buon Natale. Ma che cosa si dice con questa formula? E che cosa si ascolta? Spesso nulla, perché al  “buon” non si dà alcun contenuto, e neanche al Natale. Talvolta anche i doni che ci si scambia sono semplici ringraziamenti. Ci si affida quasi sempre a parole superficiali, non a parole dettate dallo spirito. Quelle le dicono a se stessi coloro che sono nella solitudine pensando a quanti sono lontani, o non ci sono più e con i quali vorrebbero vivere un buon Natale. Non è che questa Festa abbia perso la sua vera denotazione, anche se ridotta a luci sfavillanti e beni di ogni genere da acquistare. I padroni del mondo, (anche se alcuni reucci sbraitano), sono diventati anonimi: sono le multinazionali dei metalli, del petrolio, delle armi. Sono loro che fanno muovere i popoli, impoveriti dal commercio ingiusto o messi in fuga dalle guerre. Ma ci sono anche aspetti positivi. C’è una gioventù che scende pacificamente in piazza per chiedere che i politici facciano meglio il loro dovere e non diffondano odio e disprezzo. Ci sono volontari che servono ogni giorno alle mense e agli alloggi per senzatetto. Ci sono gruppi di persone che organizzano la solidarietà e risanano quartieri degradati. Ci sono imprenditori che costruiscono giustizia con i loro collaboratori. Ci sono persino alcuni che si dicono atei ma difendono Cristo come modello umano insuperabile. Sarebbe bello nella Festa più bella dell’ anno, trovare la vera gioia nel dono sincero di se stessi; alle famiglie e agli adulti ritrovando quella speranza che ci aiuta a guardare con occhio chiaro anche le tragedie che sovente ci circondano.

Cordialità
Paolo Pagliani

NON E’ TORNATA LA PACCHIA!!

Gentile direttore, bora che da un paio di mesi il governo è cambiato specie al Ministero degli Interni dove l’ex titolare appena insediato aveva dichiarato: <<E’ finita la pacchia per i migranti>>, mi chiedo perché quello attuale non osi restituire pan per focaccia dicendo: <<E’ ritornata la pacchia!>>. Ben presto  ritorneranno i 35 euro (gran cifra), alle corsie preferenziali per l’accesso alle case popolari, verrà messa mano allo jus soli e tanto altro!!! Niente di tutto questo dall’abolizione del decreto in-sicurezza bis, agli insulti sessisti, razzisti e così via. A mio avviso sarebbe anche anche più proficuo elettoralmente rispetto ai discorsi fumosi di un qualsiasi politico di sinistra sulle presunte colpe dell’Occidente rispetto alla povertà del Terzo mondo. C’è indifferenza, pigrizia oltre a un clima di cattiveria per non dire odio. Occorrerebbe invece aiutare persone bisognose, abbandonate, ai margini della società. Senza distinzioni e senza dimenticare nessuno! Malati, disabili, famiglie che non ce la fanno a pagare le utenze, bambini bisognosi di cure, istruzione e socialità, chi cerca casa, lavoro, aiuto, ex carcerati, immigrati, rifugiati, senza fissa dimora, anziani e minori con fragilità, persone con dipendenze e quelle a bassa soglia di reddito. Un universo di uomini che non vanno dimenticati e relegati, come fosse una condanna, ad essere privi di dignità e attenzione. Poveri per sempre. Altro che <<pacchia>>.
Cordialità e auguri
Paolo Pagliani

CALDAIA

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Carissimo don Giordano, in merito a ciò che hai proposto sulle spese per il riscaldamento vorrei brevemente soffermarmi su due aspetti in particolare. La richiesta di risorse senza intaccare la cifra residua che si ha a disposizione mi trova perfettamente d’ accordo anche se già ieri dopo la SS. Messa si sentiva dire <<I soldi ci sono si usino quelli!>> compresa mia moglie. A lei ho fatto notare che anche in un Gruppo di A.A. il denaro che si raccoglie nel sacchetto che gira a metà riunione tra i membri, contiene soldi di A.A.. Se si devono comprare caramelle, bevande e poco altro si “dovrebbe” intervenire a parte senza intaccare il totale (modesto) che si raccoglie. Leggendo come sempre Avvenire (cronaca di BO) ieri, ho saputo che la multinazionale Faac (cancelli automatici), ha dato un dividendo di dieci milioni di euro alla diocesi e tutti sono stai utilizzati per carità e assistenza verso individui o famiglie bisognose (c’è pure il rendiconto) se lo si vuole consultare. Non un euro per manutenzione di Chiese che anche nel bolognese forse ne avrebbero bisogno. Sono fortemente dubbioso che i nostri concittadini, non tutti “benestanti”, aderiscano alla tua condivisibile e intelligente iniziativa; mi auguro di sbagliarmi ma rimango scettico. Osservo anche durante la questua che si cerca spasmodicamente monetine di rame per poi trovare le stesse persone davanti a macchinette mangiasoldi in tabaccheria durante la settimana.
Con stima

I FURBI E I FESSI

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Gentile Direttore, nei miei anni lavorativi a reddito fisso ed ora in pensione, ho sempre pagato regolarmente le tasse seguendo il detto evangelico <<Date a Cesare quel che è di Cesare e….>> però non mi sento furbo ma bensì talvolta un fesso. Nessuno, o quasi, ha il coraggio di dire che siamo largamente una società di ipocriti che ruba il presente a se stessa e ai propri figli. E che vilmente, con disonestà intellettuale negli argomenti di dibattito pubblico quando si cerca di argomentare la necessità di far pagare le tasse a quella categoria di evasori o elusori, mette in campo la retorica <<l’evasione di necessità>> del piccolo commerciante, del giovane che avvia una partita Iva e interi comparti che statisticamente le tasse le evadono o le eludono in misura che non ha pari nel mondo civilizzato. E ogni volta che si parla di qualche misura che contrasti in modo più incisivo l’evasione, tira fuori lo <<Stato di polizia>>, <<Ministro Dracula>> ecc.. Argomento patetico in un Paese che non riesce neanche a pagare come meritano i poliziotti e i carabinieri per l’ordinaria amministrazione della sicurezza pubblica. Studi che nessuno può smentire, dicono ad esempio che l’Irpef pesa sempre di più su lavoratori e pensionati, fino all’ 83% mentre negli ultimi 15 anni è invece calato il contributo di autonomi, imprenditori e beneficiari di redditi da partecipazione. Il messaggio <<meno tasse>> funziona nei confronti di tutti, perché dice al Paese dei “fessi” che le pagano “avete ragione non se può più”, e al Paese dei furbi “state tranquilli, non ve le farà pagare nessuno”. Occorre forte determinazione e impegno dei governanti nel perseguire grandi ma soprattutto piccoli evasori, coraggio nel non aver timori del voto. Solo così l’Italia sarà un Paese che cambia solo se cambierà su questo terreno. Il resto sono parole, parole e chiacchiere.

Paolo Pagliani

IL VERO PROBLEMA: LE MAFIE

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Gentile direttore,ho tempo per ascoltare trasmissioni politiche e di informazione ma soprattutto per leggere su quanto accade nel mondo e nel nostro Paese, in particolare seg uo il sociale e la realtà della povertà ed emarginazione. Una cosa che mi ha colpito degli ultimi governi e del neonato giallorosso, è l’assoluta mancanza di riferimenti alla lotta alla camorra, mafia, sacra corona unita e alla ‘ndrangheta. Immaginiamo cosa potrebbe essere il Sud, la sua economia, il suo patrimonio artistico, culturale e ambientale, se fosse libero dalle dominazioni mafiose. Mi sarebbe piaciuto sentir dire dai nostri governanti che è: <<E’ finita la pacchia>> alle organizzazioni criminali, ai camorristi, alla mafia economico-politica, ai corruttori e ai corrotti, agli speculatori senza scrupoli, a chi si presta al riciclaggio del denaro sporco… Avrei gradito sentire dire: <<E’ finita la pacchia>> ai “caporali” che sia al Nord che al Sud, sfruttano in maniera disumana la forza lavoro non solo dei migranti ma di tanti disperati che non hanno lavoro. Mi sarebbe piaciuto sentire dire: <<E’ finita la pacchia>> a quelle organizzazioni criminali che avvelenano e inquinano il territorio pur di averne un vantaggio economico. Mi sarebbe piaciuto sentire un Governo e l’intero Parlamento, maggioranza e opposizione, dire <<mettiamoci insieme per affrontare e risolvere questo problema, il problema del nostro Paese>>. Mi viene da pensare, vorrei tanto sbagliare, per i miei figli e i miei nipoti, che affrontare questo dilemma sia diventato così impegnativo, così complicato, così pericoloso che è meglio preoccuparsi di altro, dei disperati che arrivano con i “barconi”; questo, non è il problema del nostro Paese. Voglio avere ancora speranza negli uomini, nelle donne e nei giovani italiani che ancora credono che un’altra Italia è possibile, un altro finale è possibile…se si mette al centro il bene comune a partire dai più piccoli, dai più deboli, da chi non ce la fa più da solo. Un caro saluto ancora pieno di speranza.

Paolo Pagliani

NON ABBIAMO PIÙ PAZIENZA

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Abbiamo perso la pazienza. In una società come la nostra che vive con la frenesia, che non sa attendere, che vuole tutto <<in tempo reale>>, che inveisce se è in fila e l’altro non si sbriga, che <<non ha tempo>>. L’invito alla pazienza può sembrare una stravaganza <<da orientali>> che non hanno niente da fare come si è soliti dire. Non c’è bisogno di scomodare scienziati o psicologi per comprendere le ragioni della nostra progressiva perdita di pazienza. Gli stessi intervistati, tre su quattro, l’hanno attribuita alla gratificazione istantanea cui ci hanno abituato Internet, smartphone e tv on demand. Lo stress psicofisico causato dal modo di vivere contemporaneo è così alto, che è più facile arrivare al livello di saturazione e perdere le staffe anche nei luoghi pubblici. Secondo un’indagine, si comincia a protestare dopo 14 minuti se un piatto al ristorante non arriva, dopo 13 se il nastro bagagli all’aeroporto non comincia a muoversi, dopo 8 se il cameriere in un ritrovo affollato non ti dà retta, si arriva alle aggressioni al pronto soccorso. La rabbia della gente oggi si esprime con maggiore intensità – dice lo psicoterapeuta – ed è una conseguenza del contagio emotivo di cui i social media sono in parte responsabili. La pazienza era considerata una virtù che dava tempo al tempo. Oggi sembra diventata – caro direttore – solo l’inutile virtù di chi ha tempo da perdere. Dovremmo avere la pazienza dell’ asino, l’animale più disprezzato ma anche utile e semplice, che con questa qualità importante, in modo implicito, trascina con sé altre virtù.

Cordialità
Paolo Pagliani

ASD Calcio