La sicurezza bene supremo

di Marco Ruini

Non c’è dubbio, la sicurezza è oggi un tema molto sentito. Si parla di insicurezza per strada, in casa, in piazza e si richiede sempre più controllo sociale e forza pubblica. Al contempo si vuole ridurre il controllo sull’evasione fiscale, sulla corruzione nei luoghi pubblici, negli appalti, e si chiede sicurezza nel non essere assillati dalle tasse, nella libertà di fare ciò che si vuole. Si parla anche di sicurezza sul lavoro, nel diritto a essere curati, istruiti, avere un giusto processo, ma con poca enfasi, le votazioni si vincono promettendo la sicurezza nei confronti degli stranieri, dei senza lavoro, senzatetto, senza documenti che occupano le strade e le piazze, degli ubriachi e dei molestatori. Le proteste e le campagne elettorali più efficaci sono contro la paura dell’altro, del diverso o di chi viene da fuori a toglierci alcuni privilegi e a occupare il nostro territorio. Le parole dell’odio più efficaci parlano di occupazione e di sostituzione etnica. È veramente da lì che viene il pericolo per la nostra libertà? Cosa chiediamo veramente quando ci appelliamo al bisogno di sicurezza? Ci sono strategie che possono ridurre il pericolo percepito e reale senza solo urlarlo nei comizi? La parola “sicurezza” è di quelle che più hanno cambiato significato nel corso del tempo e che si rapportano in modo preciso alla mutazione del clima sociale. Nel mondo greco romano la sicurezza aveva una connotazione eminentemente spirituale e morale, era correlata alla tranquillità dell’anima, all’idea di salvezza ed elevazione etica. Il fine della sicurezza era rendere l’uomo libero, equilibrato, autonomo. Con il cristianesimo, al termine sicurezza si aggiunsero la dimensione messianica e la vita futura dopo la morte. La sicurezza poteva compiersi solo con l’avvento del Regno dei cieli. Un’idea che ha permeato per secoli le società in occidente, dove avere in mano le chiavi della vita futura, governare gli altri tramite regole morali stringenti, ha reso la vita sulla terra molto fragile e la sicurezza è stata riposta solo nella speranza nella vita eterna. Con la modernità, secondo Hobbes, il posto di Dio come garante della sicurezza, lo prese lo stato. Un percorso graduale e mai completato. Di fatto, con le rivoluzioni Americana, Francese, Inglese e l’invenzione delle nazioni, ci fu il tentativo di delegare allo stato, alle nuove governance, l’equità e la sicurezza dei cittadini e dei loro averi. Le nuove costituzioni, le garanzie civili, la nuova considerazione dell’individuo e dei suoi diritti, almeno sulla carta avevano proprio l’intento di aumentare la sicurezza dei cittadini in ambito sanitario, educativo, giudiziario, garantendo libertà religiosa in un mondo che si stava secolarizzando. Garantire la sicurezza dell’individuo, della persona, divenuti il centro della comunità, voleva dire superare le differenze di pensiero, culturali e di ceto. La repubblica risultò la più efficace nel garantire che la delega fosse una vera rappresentanza lasciando quindi ai cittadini, alla maggioranza democraticamente eletta, la gestione della cosa pubblica. Non so se questo sia mai avvenuto da qualche parte e se appellarsi alla maggioranza sia l’essenza della democrazia. Di fatto, avendo affidato allo Stato la funzione di garante della pace e della sicurezza dei cittadini, poco alla volta la sicurezza dello stato e la sua forza sono diventate le condizioni, il presupposto, per le garanzie di giustizia e sicurezza di coloro sui quali la sua sovranità si esercita. La sicurezza dello stato viene quindi prima di quella dei cittadini e viene garantita dagli eserciti nazionali, dalle magistrature, dalla polizia, dal nuovo ordine democratico. È la lezione di Macchiavelli al principe e dei teorici della Ragion di Stato: “la sicurezza è una condizione indissociabile dalla potenza del principe o del regno (stato) che non hanno più il compito di rendere virtuosi e migliori i cittadini, sostenerne lo sforzo morale, ma di garantirne la sopravvivenza.”
A tal fine è giustificato colpire la dissidenza, togliere la libertà e anche la vita a chi si oppone.
“Si crea un corpus di leggi che non hanno principalmente il compito di difendere i diritti naturali fondamentali degli uomini o le loro libertà, l’uguaglianza, bensì quella di assoggettare i sudditi e impedire loro di nuocere alla sicurezza dello stato.
Lo stato ha sviluppato sistemi di sorveglianza e controllo di quelle realtà minoritarie percepite come nemici interni. Trasformare lo stato di sicurezza in sicurezza dello stato.”
(Mauro Bertani, Anemos n. 27, Paura e Sicurezza)

Quindi colpire le realtà più indipendenti, creare paura e attribuire colpe ai diversi, agli stranieri, alle altre realtà religiose per guidare l’aggressività e la frustrazione dei cittadini, coprire di privilegi i fiancheggiatori e colpire gli avversari sono insiti nella logica del mantenimento del potere e della forza dello stato.
Le costituzioni non permettono di calpestare i diritti individuali ed ecco quindi che vengono criticate, che si crea lo stato di eccezione permanente, l’emergenza continua, con leggi e misure speciali, precauzionali, anche incostituzionali, che rispondono alla ragion di stato.
Si creano i lager e le carceri o i centri di accoglienza. Si limita la libertà di stampa e si governa l’informazione con false notizie. Il nazionalismo crea conflitti con le altre nazioni e con l’opposizione interna, ostilità per le quali sono più adatte forme politiche autoritarie, capaci di prendere decisioni autonome senza il necessario parere del popolo ma in suo nome, con un’etica che è solo opportunistica, non ha morale, favorisce guerre locali sulle quali lucrare. Nel mondo contemporaneo a questo liberismo dove lo stato è comunque forte e controlla l’economia e i modelli di vita dei cittadini, si è sostituito il neoliberismo, il mercato come solo regolatore sociale, al quale si affida l’autoregolazione della società. La sicurezza e l’autonomia degli operatori del mercato garantiscono la durata dei governi, la sicurezza del consumo, della proprietà privata, dell’ingegno e della furbizia e lo stato deve togliere le regole vincolanti, i controlli. Chi ha le capacità ed è performante, ha qualcosa da offrire o da vendere, è garantito; le fasce deboli, i diversi, chi non ha avuto pari opportunità ed è in difficoltà, si deve arrangiare come può. Un po’ di assistenzialismo per ridurre i sensi di colpa è sufficiente. Per realizzare questo, i politici non debbono essere statisti, debbono semplicemente garantire la libertà al mercato e la sicurezza degli investimenti, soprattutto i propri, senza remore sulle collusioni con il mondo illegale. La libertà dell’individuo passa in secondo piano. In compenso gli si offre la sicurezza per le paure e i problemi che proprio i politici hanno contribuito a creare e che mai risolveranno perché sono strutturali, funzionali al sistema di controllo. In cambio di questa sicurezza illusoria, dimentichiamoci i loro conflitti d’interesse, sono cose marginali, da tollerare, la loro immunità è dovuta per il ruolo che hanno. Il mercato al posto dello stato. L’etica del guadagno che richiede la libertà per i grandi investitori e per i corruttori, in cambio della dipendenza dello stato dai loro interessi, stato che a sua volta deve proteggere i cittadini dalla microcriminalità in cambio dell’omologazione, dell’accettazione delle regole del gioco, dell’individualismo e dell’antipolitica che solleva un gran polverone, lasciando invariata la sostanza.

La sicurezza non è più un diritto o un valore, ma uno slogan politico. Sono pessimista? Nello scorso anno abbiamo accolto 75.000 ucraini. Chi se n’è accorto? Hanno avuto i permessi di soggiorno, inseriti nel lavoro, assistiti. Quindi si può fare!!!
Possiamo almeno pensare che l’accoglienza dei migranti, dare permessi di soggiorno perché si trovino un lavoro del quale l’Italia ha bisogno, facendo corsi di aggiornamento, insegnando la lingua, aiutando l’inserimento, possa ridurre il lavoro nero e la schiavitù nelle campagne e nell’edilizia, i morti sul lavoro, ridurre chi spaccia e ruba per vivere non avendo altro sostentamento.
O vogliamo continuare a credere che tutti questi che fuggono da miseria, carestia, guerre, compresi i minori e le donne, siano a priori delinquenti e meritino gli hotspot, i trattamenti disumani nei centri accoglienza, i rimpatri nei lager della Libia e in quelli che si vorrebbero creare in Africa col Piano Mattei per giustificare operazioni che non sarebbero né eticamente né costituzionalmente lecite?! Come possiamo non vedere l’aumento della carcerazione preventiva di minori con l’ultimo decreto Caivano (sono di questi giorni i dati dell’associazione Antigone) al posto di finanziare i servizi sociali? Anna Arendt ,“La banalità del male”, descrisse come i campi di concentramento in Polonia, in Germania, in Austria lavorassero a pieno regime nell’indifferenza della gente che vedeva arrivare treni di persone, li vedeva morire e pensava fosse giusto o rimaneva indifferente.
L’indifferenza, il cinismo ha creato milioni di collaboratori. Dire che tutti quelli che appartengono a una categoria di persone, a un popolo, a una religione, a un colore della pelle, non meritano diritti è collaborare alle atrocità che vengono commesse. Eppure oggi, gli slogan razzisti, gli odiatori, fanno vincere le elezioni.
Vorrei poter dire che non si mette in dubbio che ci siano la microcriminalità, lo spaccio, la violenza tra bande di diseredati, problemi di sicurezza nelle città, ma che andrebbero affrontati in modo diverso. Che non sono problemi emergenziali ma ormai strutturali da venti anni perché a qualcuno fa comodo non risolverli e che quando chi soffia su queste paure era al governo nulla ha fatto di concreto per risolverli, a meno che non si creda che lasciarli morire in mare e chiudere i porti sia la soluzione.
Vorrei poter dire che intervenire dal punto di vista sociale e rendere legale e sicuro il lavoro sarebbe più efficace e meno costoso di dare miliardi a stati autoritari che li utilizzeranno per altre armi e altre guerre che aumenteranno i flussi invece di diminuirli. Prima di premiare chi promette sicurezza sarà bene capire che sicurezza ci offre, chi sarà a guadagnarci, cosa ha fatto quando era al governo e avrebbe potuto intervenire.
Dovremo valutare il tenore delle proposte, se siano solo punitive, nuovi reati, violente, di netta esclusione, razziste. Non è sufficiente dire io non sono razzista, occorre esserlo veramente e combattere la violenza verbale e fisica con la non violenza e con parole che calmino gli animi e facciano almeno pensare, soppesare le conseguenze delle nostre azioni e della nostra indifferenza.
Alcuni anni fa era segno di saggezza, oggi di buonismo. Ebbene, corriamo il rischio che ci venga affibbiata questa etichetta, ma rimaniamo umani!

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