PATIRE LA FAME

ho-fameGentile direttore, passate le Feste ora il problema per molti è la bilancia mentre leggevo in questi giorni (specie nel Sahel), si patisce da sempre la fame. Questa è una parola strana. E’ stata detta tante volte, in tanti modi diversi; significa tante cose diverse.
Conosciamo la fame e non abbiamo idea cosa sia la fame. Diciamo fame e abbiamo sentito dire fame così tante volte che la parola si è usurata, è diventata un clichè. Fame è una parola deplorevole. Poeti di bassa lega, politici da strapazzo e pennivendoli di ogni tipo, l’hanno usata così tanto a cuor leggero che dovrebbe essere proibita. Anzichè proibita è neutralizzata. <<La fame nel mondo>> – come in <<che cosa pretendi, di sconfiggere la fame nel mondo?>> – è una frase fatta, un luogo comune, un’espressione quasi sarcastica usata per sintetizzare quanto siano risibili alcune intenzioni. Fame è un sostantivo femminile che significa – secondo quelli che stabiliscono il significato delle parole – tre cose: <<Voglia e bisogno di mangiare; penuria di alimenti basilari, che causa carestia e miseria generalizzata; appetito e ardente desiderio di qualcosa>>. E’ difficile pensare a tre sensi più diversi. Ma fame è una parola che tecnici e burocrati addetti ai lavori di solito evitano. E’ probabile che la considerino troppo brutale, troppo rozza, troppo d’impatto. I termini tecnici di solito hanno un vantaggio: non producono effetti emotivi, ecco allora che parlano di sottoalimentazione, di denutrizione, di malnutrizione, di insicurezza alimentare – e i termini finiscono per confondersi e per confondere chi legge. La fame invece è un processo, una lotta del corpo contro il corpo.
Quando si mangia meno, il corpo perde peso e difese: il sistema immunitario si indebolisce sempre di più. Viene attaccato da virus, da parassiti che si insediano nella bocca, (fanno molto male), infezioni bronchiali complicano la respirazione. Alla fine perde la massa muscolare che ha; non è più in grado di alzarsi in piedi e tutto a un tratto non potrà più muoversi; fa male. Si rannicchia, si raggrinzisce: la pelle si piega e si spacca; fa male. Piange piano; in silenzio, aspetta che…finisca. Poca gente – troppa gente – muore direttamente di fame. La metà dei bambini che muoiono prima dei cinque anni in un paese come il Niger muoiono per cause che si ricollegano alla fame. La parola che nessuno vuole usare!
Cordialità
Paolo Pagliani

NON SPRECARE, NUTRIRE IL PIANETA

Fame-nel-mondoGentile direttore, ogni tanto emerge la realtà dello spreco enorme di cibo che noi “benestanti” produciamo e nel dramma degli “affamati” nel mondo povero. E’ giusto pensarci ancora mentre è in corso l’Expo a Mi con il tema suggestivo “Nutrire il pianeta. Energia per la vita”. Non sarà questo – dispendioso e sfarzoso – avvenimento milanese, ad affrontare e a portare soluzioni concrete al problema della fame e allo scandalo dello spreco. I visitatori si dividono in due folle: a chi piace, a chi no, con altrettante ragioni più o meno valide. Pochissimi all’uscita, hanno fatto un pensierino a…nutrire il pianeta. Tutti abbiamo commentato sul cibo con cui ci siamo nutriti e al caro prezzo. Uno scrittore sudamericano afferma che: <<Sembra una beffa crudele che si possa utilizzare una gigantesca fiera del business per discutere della tragedia di un miliardo di esseri umani, di cui sono responsabili i maggiori Paesi presenti all’Expo. E’ un controsenso!>> E un’altro: <<Anche la Expo fa parte del “paradosso dell’ abbondanza”, se obbedisce alla cultura dello spreco e non contribuisce a un modello di sviluppo equo e sostenibile>>. Sono tre i grandi abusi: lo sfruttamento, la rapina, lo spreco. Vari Paesi impoveriti sono ricchi di giacimenti minerari che, con la compiacenza di governi corrotti, vanno in mano a corporazioni straniere che li sfruttano senza lasciare alcun vantaggio alla popolazione locale. Altre multinazionali, con la corruzione si appropriano delle terre fertili, specialmente in Africa e America latina, rapinandole ai legittimi proprietari, costretti a emigrare o a lavorare per pochi centesimi su colture utili ai nuovi padroni. Lo spreco alimentare, invece, è un abuso più diffuso e appartiene a tutti noi, più o meno benestanti; sono milioni di tonnellate di cibo o in miliardi di euro in valore finanziario. Dipende da noi, conferma Papa Francesco, cambiare mentalità, per smettere di pensare che le nostre azioni quotidiane non abbiano un impatto sulla vita di chi – vicino o lontano – soffre la fame.
Cordialità
Paolo Pagliani

MIGRANTI: SERVE REALISMO

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Gentile direttore, le scene di morte e miseria alle quali assistiamo nel Mediterraneo e in altri luoghi (Asia meridionale), hanno riportato l’attenzione su una delle più antiche attività del genere umano: la migrazione. E’ giunto il momento di accettare la realtà: come le onde dei mari che molti migranti attraversano, il flusso e il riflusso dell’umano migrare è inarrestabile. Al momento sono 250 milioni i migranti che vivono e lavorano nel mondo e nei prossimi mesi e anni sicuramente molti altri si aggiungeranno a loro. Tutto questo ci sollecita a intervenire al fine di gestire al meglio questi flussi con politiche che arrechino benefici ai Paesi di origine, di transito, di destinazione e garantire loro un certo benessere. Non si dovrebbe voltare le spalle ai disperati e sventurati ma trovare il coraggio di addurre argomentazioni valide a favore di una politica umana per la migrazione, che può rappresentare un vantaggio per l’economia andando a riempire vuoti di mestieri dei quali altri non possono e non vogliono occuparsi, oppure sostituendo una forza lavoro del Paese ospitante che invecchia e si riduce sempre più. La sola Germania nel 2035 avrà bisogno di 32 milioni di immigrati. Ridurre la percentuale degli intermediari finanziari che si trattengono in media il 9% dei preziosi guadagni che i migranti spediscono a casa; nel 2014 le rimesse sono state 440 miliardi. Il mondo sviluppato spesso ritiene ingiustamente che gli si chieda di occuparsi di un numero spropositato di profughi alla ricerca di una vita migliore. In verità, il 70% dei rifugiati cerca asilo nei Paesi in via di sviluppo. Coloro che oggi fuggono dalla miseria, dalla fame, dalle guerre o dall’oppressione, cercano una vita migliore in una nuova terra. Dobbiamo essere attenti a concentrarci sui trafficanti di uomini non su coloro che sono sfruttati; combattere alacremente la criminalità organizzata che sfrutta la disperazione per guadagnare in modo osceno. Gli sforzi mirati a fermare le migrazioni sono destinati a fallire con ripercussioni devastanti per le vite umane, erigere muri più alti non può essere la soluzione; è umanamente ingiusto. Le migrazioni proseguiranno fino a quando non strapperemo i più poveri e i più vulnerabili alle condizioni inaccettabili di vita dalle quali attualmente stanno scappando. Oggi il mondo ha il dovere morale di unirsi compatto al fine di evitare una migrazione incontrollata.

Cordialità
Paolo Pagliani

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LA POVERTÀ NON VA IN FERIE

equilibristaGentile direttore, l’equilibrista cammina sul filo. Rischia continuamente di cadere. Condizione precaria si direbbe. Può solo sperare, nel caso di un colpo di vento o di un piede mal posto, che sotto ci sia una rete, preparata per abbracciarlo prima della rovinosa caduta. Pronta a salvargli la vita. A concedergli una nuova occasione, a dare speranza. Sono centinaia le famiglie che camminano sopra questo filo, a cavallo tra la povertà e la disperazione. La crisi che ha colpito padri e madri che hanno perso il lavoro, stranieri arrivati in Italia con il cuore pieno di sogni, anziani soli con una pensione che non concede la giusta dignità. Sono alcuni esempi delle migliaia di persone che ogni anno, prima di toccare il fondo, vengono assistite dalla solidarietà reggiana (Caritas in primis). La nostra situazione rispecchia quasi quella nazionale, oltre il 10% vive al disotto della soglia di povertà; i flussi migratori non aiutano ma l’ ordine di grandezza non cambia. La differenza è fatta dall’ enorme numero di famiglie attualmente in difficoltà, persone che fino a cinque anni orsono avevano una vita normale e serena. Occorre ringraziare chi lavora ogni giorno dietro le quinte per porre un argine al dilagare di una piaga che la crisi economica ha contribuito ad accentuare (pasti, dormitori, spese per utenze, per sfratti e per la salute). <<E’ solo una goccia nel mare>> ribadiscono tutti. Ma arriva dove spesso i nostri occhi occupati non si degnano di posare lo sguardo. Buon Ferragosto.

Cordialità
Paolo Pagliani

SORDITÀ POLITICA

sordo_mano_530Gentile direttore, desidero esprimere il mio disappunto per la sordità dei politici e di tanta parte dell’altra classe dirigente, al “grido di dolore” del popolo italiano. Guardando i tg oltre al caos parlamentare ed altro, osservo che le auto di servizio a politici o alti funzionari sono tutte di fabbricazione straniera; non una, dico una, di fabbricazione italiana. Oltre a ciò, non sono mai di modesta cilindrata…Chi le paga? Chi le mantiene? Chi le ha scelte a nome mio, suo e di tanti milioni di italiani (oltre 8) che soffrono la fame? Davvero stiamo facendo la fine di tanti popoli sfruttati del Terzo Mondo, ritrovandoci governati da corrotti, incapaci e avidi che lasciano al resto d’Europa le decisioni di casa nostra. Sono vent’anni che ci hanno promesso riforme, cambiamenti seri, invece siamo costretti ad assistere a quotidiane e demolitorie picconate, di quanto era stato costruito negli anni Sessanta del secolo scorso (es. sentenze che fanno mettere le mani nei capelli…ecc.). Siamo con le pezze al sedere – mi scusi l’espressione, sebbene – e quanto mi fa rabbia pensarci – in Italia non manchino persone capaci, veramente capaci per affrontare le attuali problematiche. Purtroppo accanto a tanta capacità ci sono troppe persone arrivate immeritatamente in posti chiave sia a livello politico, che manageriale, che tecnico-scientifico. Stiamo buttando alle ortiche una Italia sognata, sofferta, costruita con passione dagli Olivetti, Mattei, Falcone, Borsellino che tanta parte delle ultime generazioni non sa nemmeno chi siano stati. Non c’è però da rassegnarsi al brutto spettacolo di una classe politica e dirigenziale che in troppi suoi esponenti non è riuscita e sembra non riuscire più a vedere (e a vedersi) con gli occhi del cittadino comune. E’ un problema incredibilmente serio esser scivolati verso un <<baratro>> di impoverimento, di intolleranza, di incattivimento. Ora sembra stia cambiando qualcosa…vedremo!
Cordialità
Paolo Pagliani
Testata www Novellara viva

“Le famiglie in difficoltà stanno bruciando le loro ultime risorse mentre i poveri stanno diventando sempre più poveri.”

E’ questo quello che emerge dal un incontro con gli operatori del settore a cui il Portico dal momento che la crisi economica perdura ha ritenuto importante ascoltare: Maria Ghizzi assessore al Welfare, Elisa Paterlini responsabile dei servizi sociali e Maura Bussei presidente dell’Istituzione I Millefiori.

di Marco Villa

In che modo l’ente pubblico interviene nelle misure di contrasto alla povertà?
Innanzitutto sfatiamo un luogo comune non è che a chiunque faccia una richiesta si dia qualcosa, prima viene sempre fatta un’istruttoria per vedere che ci sia una vera situazione di difficoltà.
Gli interventi sono diversi. Uno dei più richiesti è il fondo per l’affitto. In teoria doveva essere finanziato in parte dalla regione (85%) e in parte dal comune (15%). Mentre il Comune di Novellara ha mantenuto la propria quota costante Bologna ha ridotto i finanziamenti e il contributo alle famiglie è in netta decrescita- Eppure la spesa per la casa è quella che incide di più sul reddito, specialmente per le famiglie monoreddito che patiscono di più i periodi di disoccupazione.
E l’edilizia residenziale popolare?
Ogni due anni c’è il bando ma ormai i cittadini sanno che gli alloggi a disposizione sono pochissimi e quindi la richiesta non è elevata come ci si aspetterebbe..
Altri contributi richiesti?
Sono quelli per il cosiddetto bonus energia o per le famiglie numerose, poi ci sono richieste  di aiuto per il pagamento delle rette e di altre utenze. In questi casi anche se l’istruttoria ha avuto esito positivo non viene mai consegnato il denaro direttamente ma è l’ente che versa e si fa carico di pagare le bollette. Un paio di anni fa come ci fu anche Bando di sostegno a famiglie in crisi economica ed occupazionale
Ci sono altri enti che si occupano delle famiglie bisognose come Caritas e Croce Rossa. Avete contatti con loro?
Certamente esiste una lunga collaborazione e uno scambio continuo di informazioni, in tal modo abbiamo tutti un quadro della situazione più completo, anche se i modi di intervento sono diversi.
Con la crisi economica è cambiato il numero e la tipologia dei richiedenti?
Il numero delle famiglie che si rivolgono a noi è aumentato ma in modo non eclatante. Anche le situazioni sono più o meno sempre le stesse: disagio psichico, handicap non riconosciuti (che pertanto non rientrano nelle categorie protette) ragazze madri, sinti, famiglie straniere monoreddito, pensionati al minimo ecc. ecc.  Non stiamo ancora vedendo quelli che vengono definiti i nuovi poveri: chi sino a qualche anno fa stava bene ora sta facendo sacrifici e probabilmente sta consumando gli ultimi risparmi ma tiene duro.
Invece chi prima era già in situazione di povertà…
Ora sta diventando sempre più povero ed è sempre più difficile che possa uscire dalla condizione di indigenza. La finalità dei servizi di contrasto alla povertà non dovrebbe essere non solo di prestare assistenza e tutela ma anche di creare dei percorsi per il raggiungimento dell’autosufficienza. Ma in un periodo in cui le aziende non assumono questo diventa difficilissimo. Più passa il tempo più l’impresa è disperata, come si fa a ricollocare uno che è disoccupato da anni?
Qualche soluzione?
Alla fine è importante creare le condizioni per l’inserimento lavorativo, quindi ci aspettiamo di più dai centri per l’impiego e una migliore offerta nel campo della formazione: ad esempio adesso ci sono solo corsi per OSS, (Operatori Socio Sanitari) una figura professionale importante e molto richiesta, ma per la frequenza occorrono 2700 euro, cifra quasi proibitiva per un disoccupato. Ci vorrebbero anche corsi più economici che formino comunque professionalità richieste.