Egr. direttore, recentemente quando è stata messa in discussione la possibilità – e con essa le nostre speranze – di conservare fino a tarda età le capacità mentali, siamo entrati in crisi.
Il quadro è desolante soprattutto se si pensa che il numero di persone anziane in tutto il mondo è in crescita esponenziale e che ormai non si parla più soltanto di di una terza età ma di una quarta, dagli 80 anni in poi. Per fortuna gli scienziati hanno indovinato contromisure che consisterebbero in sostanza, di prendersi cura, per tempo della propria salute e particolarmente del cuore avviando una lotta senza quartiere all’ pertensione, all’obesità e via dicendo. Senza sminuire l’importanza di queste norme salutistiche, il contributo che può dare e ha dato la psicologia, non è secondario. In ogni età può esserci sviluppo e anche in vecchiaia si possono riscoprire interessi soffocati, abitudini dismesse che abbiamo abbandonato e alle quali tenevamo, curiosità messe a tacere a causa dei molti obblighi da assolvere. Uno studioso scomparso (Erikson), sottolineava il conflitto psicosociale dell’anziano, che consiste nella polarità stagnazione-generatività. Mentre nella prima ci si preoccupa solo di se stessi, immersi in un lago freddo e immobile, nella seconda si punta sull’impegno sociale, soprattutto nei confronti delle generazioni future. Sta a noi uscire dal conflitto e fare la nostra scelta. Quindi, tradotto in pratica, se vogliamo erigere paletti contro la tirannia degli anni, dobbiamo prima di tutto accettare i nostri limiti e poi uscire da noi stessi, partecipare, sentirci immersi in un contesto più ampio in cui tutte le generazioni hanno un compito da svolgere.
Cordialità
Paolo Pagliani