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MORIRE IN ULTIMA CLASSE

EUROPA: RIGURGITO DI NAZIONALISMI
Caro direttore, c’è da rimanere esterrefatti per l’opera di demolizione che è stata effettuata da molte parti nei riguardi dell’Europa Unita prima del voto e che prosegue tuttora. Possibile che nessuno possa porre un freno alle farneticanti esternazioni politiche, volte a distruggere l’immagine dell’euro e dell’Unione Europea? C’è un pauroso rigurgito di nazionalismi e persino di campanilismi (vedi “secessione” veneta…). Si vorrebbe retrocedere, calpestare anni di storia, distruggere il paziente lavoro di statisti illuminati, di uomini politici lungimiranti che si sono adoperati per assemblare questo eterogeneo ma prezioso mosaico di Stati, che uscivano sconvolti da guerre rovinose e insulse. Stati differenti fra loro, ricchi di un passato di cultura e di eventi diversi che potrebbero progredire ancor di più se solo rinunciassero in parte ad egoismi ed ambizioni egemoniche. Avremmo bisogno di un progresso civile e sociale, verso una società più agile, cosmopolita e aperta a cui aspirano i nostri giovani, avviati a vivere in un mondo di maggiore mobilità nel campo del lavoro e delle relazioni sociali. Serve una campagna a favore dell’Europa, contro l’atteggiamento retrogrado di molti “politici” che possono condizionare e trascinare diverse persone, per incompetenza e ignoranza, sulla scia delle loro opinioni. Il progresso non è mai un ritorno al passato ma una coraggiosa e responsabile proiezione verso il futuro.
Cordialità
Paolo Pagliani

VIENI A TROVARMI TI ASPETTA UN’ESTATE DI OCCASIONI.
L’ EUROPA E’ IL FUTURO
Caro direttore, gli italiani possiamo fare qualcosa per l’Europa, oltre che aspettarsi qualcosa. Sicuramente il compito primario è quello di difendere gli usi e le tradizioni di ogni Stato membro. Dalla crisi si può uscire solo se si uniti. Dobbiamo essere pronti, sia alle elezioni dei nostri rappresentanti alle europee mandando a Bruxelles persone preparate, sia per il prossimo impegno del semestre italiano che comincerà a luglio. L’Unione europea è ancora la soluzione vincente per il nostro Paese, perché garantisce pace, libertà, giustizia, sicurezza e benessere. Solo saltimbanchi e rozzi individui, la maggioranza incompetenti, predicano il contrario come l’uscita dall’euro che comporterebbe: “inflazione alle stelle, fuga dalle banche con ritiro dei risparmi, crack bancario, altissimi tassi di interesse, il nostro debito pubblico che fa default, perché con questi nostri interessi non si riuscirebbe a pagare i debiti che vanno saldati in euro. Il risultato immediato è uno shock, una tragedia. E nel medio e lungo periodo la perdita della gara con gli altri” (Prof. Romano Prodi). Bisogna pensare all’Europa come unica nazione dando il nostro contributo ed andando a votare, per il bene di tutti e soprattutto dei più giovani.
Cordialità
Paolo Pagliani

Novellara Bene Comune: è una nuova generazione di amministratori che si affaccia alla politica con lo spirito di chi vuole farsi portavoce di tutti i cittadini, tutelare e garantire un futuro alle giovani generazioni e dare rispetto e ascolto delle persone più anziane.
Reti elettriche intelligenti (smart grid) per elettrodomestici intelligenti
Il sistema elettrico è articolato in tre fasi: produzione, trasmissione e distribuzione di energia elettrica.
In Italia la produzione di energia elettrica avviene in gran parte a partire dall’utilizzo di fonti energetiche non rinnovabili (gas naturale, carbone e petrolio) e in misura minore con fonti rinnovabili (energia geotermica, idroelettrica, eolica, da biomasse e solare), il restante fabbisogno elettrico viene coperto con l’acquisto di energia elettrica dall’estero.
L’energia elettrica – prodotta o acquistata – viene poi trasferita dai centri di produzione alle zone di consumo attraverso la rete di trasmissione ad altissima ed alta tensione, composta in Italia da oltre 63.000 km di linee elettriche.
Infine l’elettricità viene consegnata agli utenti mediante la rete di distribuzione in media e bassa tensione.
L’energia elettrica non si può ad oggi immagazzinare. E’ quindi necessario produrre, istante per istante, la quantità di energia richiesta dall’insieme dei consumatori (famiglie e aziende) e gestirne la trasmissione in modo che l’offerta e la domanda siano sempre in equilibrio, garantendo così la continuità e la sicurezza della fornitura del servizio.
Tale attività richiede il monitoraggio dei flussi elettrici e l’applicazione delle disposizioni necessarie per l’esercizio coordinato degli elementi del sistema, cioè gli impianti di produzione, la rete di trasmissione e i servizi ausiliari.
Per questi motivi è stato necessario dotarsi di una rete elettrica intelligente (detta smart grid), cioè una rete di informazione che affianca la rete di distribuzione elettrica, gestendola in modo funzionale ed efficiente, evitando il più possibile sprechi energetici, sovraccarichi e cadute di tensione elettrica. Le smart grid rappresentano il vero salto di qualità, anche perché, oltre a gestire in chiave di massima efficienza il flusso di energia, integrano nella rete la corrente prodotta con fonti rinnovabili e ne incentivano l’uso quando si registra il picco di produzione, che altrimenti andrebbe perso. Le eventuali eccedenze di energia disponibili in alcune zone geografiche vengono redistribuite in modo dinamico ed in tempo reale in altre aree.
L’Italia è stata la prima nazione al mondo a dotarsi di smart grid su scala nazionale nel 2006 ed ancora oggi figura come il paese che all’interno dell’Unione Europea ha compiuto gli investimenti più importanti.
La rete elettrica intelligente è una evoluzione delle reti di energia elettrica che generalmente diffondono l’energia da pochi generatori o centrali a un grande numero di utenti. L’innovazione consente di far viaggiare l’energia elettrica da più nodi rendendo la rete in grado di rispondere tempestivamente alla richiesta di maggiore o minore consumo di uno o più utenti e rendendo immediata e ottimale la gestione come un vero e proprio organismo intelligente. Ad esempio, al momento è possibile distinguere le ore di maggiore richiesta dalle ore di minore consumo facendo pagare un costo superiore a chi utilizza l’energia nelle ore di punta attraverso il meccanismo delle fasce orarie e dando contemporaneamente un incentivo più alto a chi produce nelle medesime ore.
Quando il costo dell’energia diventa minore una smart grid può anche decidere di attivare automaticamente processi industriali oppure elettrodomestici casalinghi, con conseguenti benefici economici e ambientali. Benefici che potranno diventare considerevoli con l’introduzione di un mercato dell’energia più flessibile e con un’offerta tariffaria variabile durante il giorno e incentivi e disincentivi al consumo in certe fasce orarie; l’attuale bioraria deve essere soltanto il primo passo.
Per sfruttare questa possibilità verranno lanciati sul mercato elettrodomestici smart, ossia in grado di interagire con la rete elettrica intelligente, quindi di captare gli input che da questa provengono per individuare il momento più economico per entrare in funzione o quello in cui si può fare uso di energia da fonti alternative.
Questi elettrodomestici “intelligenti” sono capaci di usare meno energia elettrica quando la rete ne ha più bisogno e concentrano i consumi nei momenti in cui c’è surplus di produzione. Per esempio un dispositivo applicato ai frigoriferi permette che la macchina moduli i consumi in relazione ai picchi ed alle valli della domanda di elettricità complessiva della rete. Il frigorifero comunica con il sistema elettrico in tempo reale grazie a questo dispositivo, prelevando più elettricità quando nella rete ce n’è in sovrappiù, riducendo o azzerando i consumi durante i picchi di domanda e di produzione. Si tratta di un dispositivo che non compromette le prestazioni del frigorifero, ma che semplicemente riduce la domanda quando serve al sistema nazionale, garantendo vantaggi di efficienza al sistema stesso. L’elettrodomestico diventa così infatti una sorta di batteria della rete: un elemento sempre più necessario in un sistema elettrico caratterizzato dal ruolo crescente di fonti dalla produzione non programmabile, come l’eolico. Infatti per far fronte ai picchi della domanda è attualmente prassi far produrre di più le centrali programmabili. Con tecnologie di controllo dinamico della domanda come questa proposta, i picchi della domanda potrebbero invece venire smussati e il ricorso all’aumento di produzione da centrali a gas, petrolio o carbone, notevolmente ridotto: con risparmio di denaro e di CO2.
Roberto Blundetto
LA RICETTA PER USCIRE DALLA CRISI ARRIVA DALL’ ISLANDA
Storia della Rivoluzione Silenziosa islandese:
Tutto inizia nel 2001. Il governo islandese inizia a privatizzare il settore bancario. La mossa avrà la sua conclusione due anni dopo, nel 2003. Le tre banche principali – Landbanki, Kapthing e Glitnir – offrono alti interessi attraverso un programma chiamato IceSave. I soldi iniziano ad arrivare, specie da Inghilterra e Olanda. Fino al 2008 la Borsa islandese sale costantemente, fino a raggiungere il 900 per cento. Il prodotto interno lordo cresce del 5.5 per cento l’anno. Ma crescono anche i debiti delle banche: nel 2007 arrivano al 900% del PIL islandese. Nel 2008, esplode la crisi economica: i cittadini si trovano a dover saldare di tasca propria lo spropositato debito che le banche private hanno contratto con gli investitori stranieri. Un debito non loro.
Olandesi e Inglesi rivogliono i loro soldi, Il governo non ha risorse per aiutare la scellerata insolvenza delle banche, gli istituti di credito falliscono. Per gli islandesi si tratta di un danno enorme: il loro conti corrente si vaporizzano, il valore degli investimenti dei risparmiatori crolla vertiginosamente. una buona parte dei risparmi di una vita degli incolpevoli cittadini svanisce nel nulla. Alla fine del 2008, anche il governo islandese si dichiara insolvente e va in fallimento.
Il governo d’Islanda fa quello che tutti i governi fanno in casi simili: bussa alle porte del Fondo Monetario Internazionale e dell’Unione Europea. Sembra l’unico modo per ripagare i debiti nei confronti degli investitori inglesi e olandesi, che ammontano a 3,5 miliardi di euro. È il gennaio 2009. Per trovare i soldi necessari, il governo studia un prelievo straordinario: ogni cittadino islandese avrebbe dovuto pagare 100 euro al mese per 15 anni, a un tasso di interesse del 5,5% annuo. Il tutto per pagare danni creati da altri: un debito contratto da banche private nei confronti di altri soggetti privati. È a quel punto che la rabbia popolare esplode, i cittadini islandesi scendono in piazza. Non per una breve e sporadica manifestazioncina indolore: ma per ben 14 settimane. Il Parlamento viene
assediato. Il governo senza palle di Geir Haarde viene soverchiato. Chi non ha saputo gestire la crisi e che é stato soltanto capace di prostituirsi agli avidi organismi internazionali, buoni solo a chiedere agli islandesi di pagare per le colpe di altri, é stato deposto. Più che giustamente. In modo pacifico e democratico. Il solo presentarsi in massa alle porte del parlamento per 14 giorni consecutivi é una intimidazione così forte, é una rappresentazione così gagliarda del volere popolare, che nessuno governo avrebbe potuto sopportare.
Il culmine della protesta si raggiunge il 20 gennaio 2009. La polizia inizia a caricare, lo scontro si fa vivace. Il condottiero morale della rivolta é un cantautore indigeno, dichiaratamente gay, che diventa il simbolo della rivolta. É Hordur Torfason che con il suo carisma aiuta la gente a trovare la forza per non andarsene dalle piazze. Tra freddo polare e manganellate sulle nocche ghiacciate non deve essere stato affatto facile.
Le preoccupanti differenze con l’Italia:
Le nostre manifestazioni durano un giorno e servono solo a mettere a ferro e fuoco la città di turno, la loro é una protesta coordinata, non violenta e duratura. Altra fastidiosa differenza, loro hanno il cantautore gay illuminato, dal carisma di chi sa cosa é una minoranza, uno capace di smuovere un intero popolo con i suoi discorsi, noi invece come cantautori gay abbiamo solo Malgioglio e Tiziano Ferro.
Un Paese freddo ma gaio:
L‘ 1 febbraio l’Islanda ha un nuovo governo, guidato da Johanna Sigurdardottir, la prima premier omosessuale nella storia dell’umanità. Il suo primo passo è di indire le elezioni: le vince. Il secondo è di confermare la volontà dell’Islanda di pagare i debiti a Olanda e Inghilterra. Il parlamento dà vita a una norma che contiene una supertassa. È il febbraio 2010 quando il presidente Grimsson si rifiuta di ratificarla, ascolta la voce della piazza e indice un referendum. La pressione sull’Islanda è alle stelle. Olanda e Inghilterra minacciano di isolare l’Islanda, se sceglierà di non ripagare i debiti. Ma che curiosa minaccia quella di voler isolare un’isola. Il Fondo Monetario Internazionale tuona: “Diventerete la Cuba Del Nord, non avrete più nessun aiuto, sarete isolati”. Grimsson replica pubblicamente “Se avessimo accettato il volere del FMI saremmo diventati la Haiti del Nord, altro che Cuba!”. Mi piace questo presidente con le palle, senza nulla togliera alla lesbica.
La Cuba del Nord:
Il referendum si tiene nel marzo 2010: il 93% dei votanti decide di rischiare di diventare la Cuba del Nord. Il Fondo Monetario congela immediatamente gli aiuti. Il governo risponde mettendo sotto inchiesta i banchieri e i top manager responsabili della crisi finanziaria. L’Interpol emette un mandato di arresto internazionale per l’ex presidente della banca Kaupthing, Einarsson, mentre altri banchieri implicati nel crack fuggono dal paese. É iniziata una nuova era in Islanda. Il popolo coraggioso che si é ribellato a chi si crede padrone del Mondo. É una storia non lontana nello spazio e nel tempo. É una storia più vicina a noi di quanto si pensi. É una storia che i poteri forti hanno insabbiato. Temono che il modello islandese prenda piede in Europa. Grecia e Italia in primis, dato che siamo quelli messi peggio, quelli più esposti agli attacchi speculativi, quelli che, proprio come in Islanda, stanno torchiando con sempre più insostenibili imposte.
Dall’Islanda all’Italia, il contagio rivoluzionario sarebbe possibile?
Cerchiamo di analizzare i fatti i modo realistico, mettendo da parte qualsiasi slancio utopistico. Battere la finanza globale anche in Italia é una cosa molto più difficile che in Islanda. Da loro la dinamica degli eventi è sicuramente dipesa da alcune caratteristiche tipiche, non proprie del Belpaese. Pochi abitanti (circa 320mila) sparsi su un territorio vasto e ricco di risorse, un’economia con un peso specifico relativamente basso all’interno delle dinamiche europee e mondiali, una situazione – anche geografica – di relativi isolamento e indipendenza e – soprattutto – un debito che ammontava a neppure quattro miliardi di euro. L’Italia ha un debito pubblico di quasi 2mila miliardi. Se i cittadini italiani decidessero di non pagare quel debito farebbero crollare all’istante l’intera economia europea, e buona parte di quella mondiale.
Nel caso islandese Olanda e Gran Bretagna, i due stati creditori, hanno già provveduto a rimborsare i propri cittadini titolari del conto IceSave, che sta alla base della controversia, dunque, i due governi si sono fatti carico di tale debito. Significa che quei quattro miliardi circa di credito che i due paesi avevano verso l’Islanda non ci sono più e non sono stati considerati nel bilancio statale. Le ripercussioni sui cittadini sono state quindi praticamente impercettibili. Il peso specifico che questa cifra assume sull’economia britannica o olandese non è paragonabile a quello che avrebbe assunto sull’Islanda.Diciamo che la mossa islandese é stata ispirata dalle gesta di Robin Hood.
Il debito italiano, invece, é suddiviso tra numerosi investitori stranieri, non solo europei, ma anche arabi, cinesi ed americani. L’imponenza del debito italiano, suggerisce che la mancata liquidazione dei creditori, non sarebbe praticamente indolore come in Islanda. Causerebbe non pochi disagi alle altre nazioni. Forse addirittura un domino di bancarotte di banche ed istituti finanziari, che purtroppo danneggerebbero anche gli incolpevoli cittadini stranieri dei paesi creditori. La questione del debito italiano è cosa decisamente più complessa. Per ogni stato col cappio al collo, strozzato dal debito, c’è un paese creditore che senza quel credito si troverebbe nella medesima situazione.
Inoltre va ricordato che la faccenda del debito islandese non è ancora del tutto chiusa. Nonostante i cittadini islandesi si siano pronunciati per ben due volte sulla questione, è ancora aperta lacontroversia a livello internazionale, con Inghilterra ed Olanda che si sono tutt’altro che rassegnate a veder sfumare i propri investimenti.
Hanno fatto bene gli islandesi?
Una delle critiche ricorrenti contro la rivolta islandese é: “Finché le cose andavano bene erano tutti contenti, poi quando si sono messe male nessuno voleva più pagare”. Effettivamente il 900% di crescita iniziale della borsa avrà pur portato un bel pò di ricchezza alla popolazione. Ma è bene notare che:
- Chi si arricchisce veramente sono le banche. Le ricchezze accumulate dai banchieri nonsono paragonabili con quelle ‘di riflesso’ degli altri cittadini;
- Chi è responsabile dello sviluppo sfrenato è anche consapevole delle fragili basi su cui esso posa, mentre i cittadini sono spesso indotti a credere che tale sviluppo sia solido e potenzialmente infinito. Le banche giocavano con il fuoco consapevolmente: gli islandesi ne erano completamente all’oscuro.
Il comportamento degli islandesi é quindi quanto meno criticabile. Effettivamente se ne sono un pò sbattuti dei cittadini olandesi e inglesi che ci hanno rimesso. Seppur il 99% del conto lo abbiano pagato i ricchi speculatori finanziari e le banche, tutto ciò non può che aver danneggiato, seppur in minima parte, anche alcuni onesti risparmiatori.
L’ipotesi italiana:
In Italia, una rivoluzione, come detto, avrebbe ripercussioni catastrofiche, dato che dobbiamo soldi a mezzo Mondo. Io la rivoluzione la voglio, ma non é giusto che qualche altro cittadino paghi la rivalsa dei nostri diritti. Ciò che propongo é semplice: facciamo unReferendum anche in Italia, riprendiamoci il nostro debito e liquidiamo solo i creditori onesti, i piccoli risparmiatori e le aziende internazionali che hanno investito nel nostro Paese.
Fanculo invece alla finanza globale, alle banche e al Nuovo Ordine Mondiale che ci vuole tenere per le palle. Fanculo anche al FMI e alla BCE, nonchéalla loro marionetta: Monti. Che ci minaccino, che ci taglino gli aiuti economici, che facciano pure intimidazioni a tutti coloro che intendono fare accordi commerciali con l’Italia. Dobbiamo avere coraggio, riprenderci la nostra sovranità, la nostra economia e imparare a stare in piedi da soli.
Il Mondo intero é figlio di Greci e Romani. Oggi ci vogliono schiacciare. I barbari che prima ci hanno invaso e che noi abbiamo educato, ora sono i nostri indiscussi padroni. É giunto il momento di ripristinare il Classico Ordine Mondiale, quello in cui Italiani e Greci insegnarono all’ Europa a leggere e scrivere. Insegnamogli ora il vero significato di Democrazia e di Rivoluzione, di Sovranità Popolare e di Carta Dei Diritti dell’ Uomo. Altro che Nuovo Ordine Mondiale!
Stiamo uscendo – noi, come gran parte del mondo – in modo piuttosto brusco e doloroso da un periodo di crescita sfrenata e di benessere diffuso. Andiamo certamente verso una fase di pesanti ristrettezze, inutile negarlo. La via d’uscita indicata come inevitabile dai potentati finanziari internazionali passa per privatizzazioni, perdita di diritti, rinuncia alla sovranità popolare. L’Islanda indica un’altra via percorribile. Il fatto che la Rivoluzione Islandese sia stata ovattata da tutti i media mondiali significa che, Merkel e compagnia bella, si sono accorti che qualcosa può far saltare i loro piani di arricchimento sfrenato ai danni dei singoli cittadini, su cui scaricare tutto il peso delle scellerate speculazioni e delle spregiudicate transazioni finanziarie che hanno prodotto la crisi.
Cosa può insegnarci la Rivoluzione d’Islanda?
In primis che la via d’uscita dalla crisi che ci vogliono imporre dall’alto, non è inevitabile. Il sistema capitalistico e consumistico assoluto sta fallendo. Non lo dico io, la crisi globale ne é la prova. Il sistema si autoalimenta con una maggiore concentrazione delle ricchezze e del potere nelle mani di pochi, e la conseguente perdita dei diritti e dei beni da parte del ceto medio-basso. I tanti poveri pagano per gli errori dei pochi ricchi. Ciò non é più tollerabile. Gli Islandesi l’hanno compreso prima di tutti, ed in questo non possono che essere presi ad esempio. Oggi, forse per la prima volta nella storia, i cittadini hanno modo di essere informati e consapevoli di quello che gli sta accadendo attorno. Il web é un’arma potentissima che dobbiamo usare per ribellarci. l’Islanda ha da insegnarci anche in questo campo: la rivolta popolare é nata sui blog. La stesura della nuovaCostituzione Islandese viene quotidianamente ed attivamente dibattuta sui blog e sui social network dall’ intera popolazione. I più attivi sono i giovani. In Islanda propongono, dibattono e trattano di libertà ed uguaglianza. In Italia sono schiacciati dalla disoccupazione e fanno quello che il governo più vecchio del Mondo (con una preoccupante media di 64 anni d’età) gli dice.
Il bivio:
Se in Italia ci svegliamo possiamo trasformare la crisi in un enorme incubatore di democrazia. Attualmente siamo difronte ad un bivio. Dobbiamo scegliere che strada prendere. la scelta é epocale, ed avrà ripercussioni per secoli e secoli sulle generazioni future: possiamo imboccare la strada europea, quella degli aiuti da parte di Bce e Fmi e della svendita a privati dell’intero settore pubblico, della rinuncia ai beni comuni e ai diritti; oppure la strada islandese, della riappropriazione dei diritti e del potere decisionale, della democrazia diretta e partecipata.
Dopo tutto questo discorso spero che anche per voi sia palese quale delle due strade sia la migliore. Loro erano in 320 mila, noi siamo 60 milioni. Coordinarci sarà più difficile, ma faremmo molto più rumore. Altro che Rivoluzione Silenziosa, la nostra farà un casino pazzesco.
Link: http://ilcorsivoquotidiano.net/2011/12/14/rivoluzione-islandese/