Referendum, quattro motivi per votare Si

di Alessandro Cagossi – ricercatore universitario

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I paesi occidentali fanno riforme costituzionali per risolvere i problemi. Nel 1995 il Belgio ha abolito il bicameralismo perfetto (identici poteri in entrambe le camere) che creava, come in Italia, lungaggini del processo legislativo e maggioranze incerte; il Senato belga è stato quindi ridotto a rappresentante delle comunità locali, non vota più la fiducia al governo ed ha una partecipazione limitata al processo legislativo. In Germania, una revisione costituzionale del 2006 ha definito più nettamente le competenze legislative fra le due camere, ridimensionando ulteriormente le prerogative della Camera dei cantoni (Bundesrat, composta da amministratori locali) che non partecipa alla votazione sulla fiducia al governo. La Spagna dal 1978 dopo la dittatura franchista ha un sistema bicamerale in cui il Congresso ha preminenza sul Senato che non vota la fiducia al governo. La Francia per risolvere l’instabilità di governo nel dopoguerra (20 governi in 12 anni) nel 1958 si è data una forma costituzionale rivoluzionaria, il semipresidenzialismo: poteva essere un salto nel buio, invece ha risolto i problemi.
Al contrario, in fatto di riforme costituzionali l’Italia è un paese conservatore. L’unica riforma andata in porto fu quella del centrosinistra approvata col referendum del 2001 che devolveva più poteri agli enti locali. Tuttavia, ci sono stati quattro progetti organici di revisione radicale dell’ordinamento istituzionale della Repubblica. Tutti falliti. Basterà ricordare la bicamerale De Mita-Iotti (1993-1994) che, sull’onda di tangentopoli, propose senza successo un ordinamento di tipo tedesco. La bicamerale D’Alema-Berlusconi del 1997 proponeva una repubblica semipresidenziale e una legge elettorale a doppio turno in stile francese, ma fallì perché Berlusconi fece saltare il tavolo.
L’ex cavaliere nel 2006 propose una riforma bocciata dal referendum per aumentare in maniera sproporzionata i poteri del primo ministro che avrebbe potuto revocare i ministri (di solito prerogativa parlamentare); determinare l’attività dei ministeri (quindi governo non più collegiale ma di stampo presidenziale); sciogliere direttamente la Camera (un’aberrazione nei sistemi parlamentari, potere solitamente affidato al presidente della repubblica). Infine il premier sarebbe stato automaticamente nominato dal presidente della repubblica (derubricato a ruolo di “notaio”), in base a chi risultava candidato al momento delle elezioni.
Riforma Renzi-Boschi: una revisione limitata della costituzione. Entrando nel merito della riforma, per evitare i timori di una riforma troppo radicale come quelle fallimentari proposte nel passato si è optato per una revisione limitata della costituzione, andando a ridefinire il riassetto delle due camere in linea con quello che, come detto sopra, succede in tanti paesi occidentali. Le prerogative di governo, potere giudiziario e presidente della repubblica rimangono immutate, quindi chi paventa derive autoritarie dice sciocchezze. Ci si prefigge il superamento del bicameralismo perfetto, un problema atavico dell’Italia. La Camera rimane l’unico organo ad approvare la fiducia del governo ed esercita la funzione di controllo sull’operato del governo assieme a corte costituzionale e presidente della repubblica, mentre il Senato diventa rappresentativo delle istituzioni territoriali.
Riguardo alle leggi d’iniziativa popolare, da un lato il numero di firme necessario per la presentazione di un disegno di legge è aumentato da 50mila a 150mila, dall’altro il parlamento le deve discutere obbligatoriamente in tempi certi, a differenza di oggi in cui spesso le ignora. Relativamente ai referendum popolari abrogativi, se sono richiesti da almeno 800mila cittadini (invece che 500mila), come quorum si stabilisce non più il 50% +1 dei votanti (il cui raggiungimento ormai è una chimera) ma la metà dei votanti alle ultime elezioni politiche (nel 2013 votò il 75% degli aventi diritto, quindi il quorum per il referendum sarebbe un abbordabile 37,5% +1). Si combatte così l’arma dell’astensione che tanti governi hanno impugnato per far fallire svariati referendum abrogativi.
Votare SÌ! per non fare regali alle opposizioni. È palese che sia i protagonisti della storia politica recente (Berlusconi e Lega Nord) sia chi ambisce a esserne il prossimo interprete (Beppe Grillo, Casaleggio Associati e Movimento5Stelle), bocciano compatti la riforma per ragioni più strumentali che ideologiche. Rileva infatti che una forza sulla carta rivoluzionaria come il M5S si sia arroccata su posizioni ultraconservatrici dello status quo, ovviamente temendo la portata dirompente di un governo Pd che si può accreditare come riformatore in caso di vittoria al referendum.
E non sta certamente al M5S intimare la necessità di riforme condivise, siccome sulle riforme (e non solo) si sono chiamati fuori da qualsiasi collaborazione con gli altri partiti. La riforma si poteva fare con le destre, che però hanno fatto saltare il tavolo. In linea con la riforma Renzi-Boschi, avrebbe potuto essere proprio la Lega Nord a proporre il Senato delle Regioni quando governava, tuttavia seguì senza fortuna Berlusconi sul presidenzialismo. L’ex cavaliere, una volta tanto, è stato il più onesto: dice senza tanti giri di parole di votare no per abbattere Renzi. Per chi si riconosce nella sinistra, votare SÌ! significa approvare una riforma di stampo progressista, sempre che progressista significhi ancora qualcosa per la sinistra.

 

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LUNEDI’ 17-12 TUTTI IN CONSIGLIO COMUNALE A REGGIO

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Sabato pomeriggio c’era qualcosa nell’aria durante la manifestazione per le vie di Reggio Emilia. Era lo stessa voglia di partecipare che ci ha fatto vincere i referendum dello scorso anno. Una bellissima atmosfera, tantissima gioia e voglia di farsi sentire per riaffermare ancora una volta che l’acqua è una bene comune.
Come nel 2011, siamo a pochi passi da un risultato importantissimo che potrebbe dare un grande impulso al processo di ripubblicizzazione nella nostra città. Un’ondata di partecipazione (quella vera) che da Reggio Emilia si estende in tutta Italia.
Per questo ancora una volta vi chiediamo di essere con noi.
Lunedì 17 dicembre, dalle ore 16 in avanti saremo in consiglio comunale a Reggio, per discutere le tre mozioni di iniziativa popolare con cui chiediamo la ripubblicizzazione dell’acqua.
Sarà una giornata importantissima, soprattutto perchè l’abbiamo costruita tutte e tutti insieme per riportare l’acqua in consiglio comunale!

VI ASPETTIAMO IN TANTISSIMI LUNEDI!
SI SCRIVE ACQUA, SI LEGGE DEMOCRAZIA!

REFERENDUM LAVORO – UN SUCCESSO IL PRIMO GIORNO DI RACCOLTA FIRME

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Domenica 4 novembre, prima domenica del mese e giorno di mercato dell’antiquariato. Nonostante la pioggia e il clima decisamente autunnale, diverse persone si sono avvicinate al banchetto del comitato organizzato a Novellara sotto i portici di fronte al bar Mari, chi per firmare, chi per chiedere semplicemente informazioni. Il neonato comitato novellarese #lottoperildiciotto, che promuove i referendum sul lavoro (www.referendumlavoro.it), valuta in modo estremamente positivo il risultato ottenuto alla sua prima uscita. “In poco più di tre ore abbiamo raccolto oltre 80 firme, evidentemente il tema dei diritti sul lavoro è molto sentito dalla cittadinanza” afferma Enrico Ragni, assessore comunale nella precedente legislatura, oggi tra i padri fondatori del comitato. Anche Cristian Veronesi, membro storico del comitato Cristian Veronesi si dimostra visibilmente soddisfatto: “quando eravamo in piazza per l’acqua non c’era quasi bisogno di distribuire volantini e fermare i passanti, la gente si avvicinava già con la carta d’identità in mano pronta a firmare in favore dei referendum; rispetto al tema del lavoro devo dire che inizialmente ero un po’ perplesso sul fatto che ci potesse essere una sensibilità analoga, ma oggi, dopo i primi minuti di banchetto, fortunatamente mi sono dovuto ricredere”. Sulla stessa lunghezza d’onda anche gli altri componenti del comitato, Paolo Artoni, Paolo Bernini e Stefano Mazzi (consigliere comunale attualmente in carica che funge anche da certificatore per le firme raccolte): “siamo davvero contenti dell’esito di questa prima uscita e cogliamo l’occasione per invitare i nostri concittadini che non hanno avuto l’opportunità di firmare oggi, a venire a farlo una delle prossime domeniche; fino a fine novembre infatti saremo presenti la domenica mattina dalle 9.00 alle 12:30 con il banchetto e il materiale informativo”.

Comitato Novellarese Lottoperildiciotto
Novellara

LA RICETTA PER USCIRE DALLA CRISI ARRIVA DALL’ ISLANDA

Storia della Rivoluzione Silenziosa islandese:

Tutto inizia nel 2001. Il governo islandese inizia a privatizzare il settore bancario. La mossa avrà la sua conclusione due anni dopo, nel 2003. Le tre banche principali – Landbanki, Kapthing e Glitnir – offrono alti interessi attraverso un programma chiamato IceSave. I soldi iniziano ad arrivare, specie da Inghilterra e Olanda. Fino al 2008 la Borsa islandese sale costantemente, fino a raggiungere il 900 per cento. Il prodotto interno lordo cresce del 5.5 per cento l’anno. Ma crescono anche i debiti delle banche: nel 2007 arrivano al 900% del PIL islandese. Nel 2008, esplode la crisi economica: i cittadini si trovano a dover saldare di tasca propria lo spropositato debito che le banche private hanno contratto con gli investitori stranieri. Un debito non loro.

Olandesi e Inglesi rivogliono i loro soldi, Il governo non ha risorse per aiutare la scellerata insolvenza delle banche, gli istituti di credito falliscono. Per gli islandesi si tratta di un danno enorme: il loro conti corrente si vaporizzano, il valore degli investimenti dei risparmiatori crolla vertiginosamente. una buona parte dei risparmi di una vita degli incolpevoli cittadini svanisce nel nulla. Alla fine del 2008, anche il governo islandese si dichiara insolvente e va in fallimento.

Il governo d’Islanda fa quello che tutti i governi fanno in casi simili: bussa alle porte del Fondo Monetario Internazionale e dell’Unione Europea. Sembra l’unico modo per ripagare i debiti nei confronti degli investitori inglesi e olandesi, che ammontano a 3,5 miliardi di euro. È il gennaio 2009. Per trovare i soldi necessari, il governo studia un prelievo straordinario: ogni cittadino islandese avrebbe dovuto pagare 100 euro al mese per 15 anni, a un tasso di interesse del 5,5% annuo. Il tutto per pagare danni creati da altri: un debito contratto da banche private nei confronti di altri soggetti privati. È a quel punto che la rabbia popolare esplode, i cittadini islandesi scendono in piazza. Non per una breve e sporadica manifestazioncina indolore: ma per ben 14 settimane. Il Parlamento viene assediato. Il governo senza palle di Geir Haarde viene soverchiato. Chi non ha saputo gestire la crisi e che é stato soltanto capace di prostituirsi agli avidi organismi internazionali, buoni solo a chiedere agli islandesi di pagare per le colpe di altri, é stato deposto. Più che giustamente. In modo pacifico e democratico. Il solo presentarsi in massa alle porte del parlamento per 14 giorni consecutivi  é una intimidazione così forte, é una rappresentazione così gagliarda del volere popolare, che nessuno governo avrebbe potuto sopportare.

Il culmine della protesta si raggiunge il 20 gennaio 2009. La polizia inizia a caricare, lo scontro si fa vivace. Il condottiero morale della rivolta é un cantautore indigeno, dichiaratamente gay, che diventa il simbolo della rivolta. É Hordur Torfason che con il suo carisma aiuta la gente a trovare la forza per non andarsene dalle piazze. Tra freddo polare e manganellate sulle nocche ghiacciate non deve essere stato affatto facile.

Le preoccupanti differenze con l’Italia:

Le nostre manifestazioni durano un giorno e servono solo a mettere a ferro e fuoco la città di turno, la loro é una protesta coordinata, non violenta e duratura. Altra fastidiosa differenza, loro hanno il cantautore gay illuminato, dal carisma di chi sa cosa é una minoranza, uno capace di smuovere un intero popolo con i suoi discorsi, noi invece come cantautori gay abbiamo solo Malgioglio e Tiziano Ferro.

Un Paese freddo ma gaio:

L‘ 1 febbraio l’Islanda ha un nuovo governo, guidato da Johanna Sigurdardottirla prima premier omosessuale nella storia dell’umanità. Il suo primo passo è di indire le elezioni: le vince. Il secondo è di confermare la volontà dell’Islanda di pagare i debiti a Olanda e Inghilterra. Il parlamento dà vita a una norma che contiene una supertassa. È il febbraio 2010 quando il presidente Grimsson si rifiuta di ratificarla, ascolta la voce della piazza e indice un referendum. La pressione sull’Islanda è alle stelle. Olanda e Inghilterra minacciano di isolare l’Islanda, se sceglierà di non ripagare i debiti. Ma che curiosa minaccia quella di voler isolare un’isola. Il Fondo Monetario Internazionale tuona: “Diventerete la Cuba Del Nord, non avrete più nessun aiuto, sarete isolati”. Grimsson replica pubblicamente “Se avessimo accettato il volere del FMI saremmo diventati la Haiti del Nord, altro che Cuba!”. Mi piace questo presidente con le palle, senza nulla togliera alla lesbica.

La Cuba del Nord:

Il referendum si tiene nel marzo 2010: il 93% dei votanti decide di rischiare di diventare la Cuba del Nord. Il Fondo Monetario congela immediatamente gli aiuti. Il governo risponde mettendo sotto inchiesta i banchieri e i top manager responsabili della crisi finanziaria. L’Interpol emette un mandato di arresto internazionale per l’ex presidente della banca Kaupthing, Einarsson, mentre altri banchieri implicati nel crack fuggono dal paese. É iniziata una nuova era in Islanda. Il popolo coraggioso che si é ribellato a chi si crede padrone del Mondo. É una storia non lontana nello spazio e nel tempo. É una storia più vicina a noi di quanto si pensi. É una storia che i poteri forti hanno insabbiato. Temono che il modello islandese prenda piede in Europa. Grecia e Italia in primis, dato che siamo quelli messi peggio, quelli più esposti agli attacchi speculativi, quelli che, proprio come in Islanda, stanno torchiando con sempre più insostenibili imposte.

Dall’Islanda all’Italia, il contagio rivoluzionario sarebbe possibile?

Cerchiamo di analizzare i fatti i modo realistico, mettendo da parte qualsiasi slancio utopistico. Battere la finanza globale anche in Italia é una cosa molto più difficile che in Islanda. Da loro la dinamica degli eventi è sicuramente dipesa da alcune caratteristiche tipiche, non proprie del Belpaese. Pochi abitanti (circa 320mila) sparsi su un territorio vasto e ricco di risorse, un’economia con un peso specifico relativamente basso all’interno delle dinamiche europee e mondiali, una situazione – anche geografica – di relativi isolamento e indipendenza e – soprattutto – un debito che ammontava a neppure quattro miliardi di euro. L’Italia ha un debito pubblico di quasi 2mila miliardi. Se i cittadini italiani decidessero di non pagare quel debito farebbero crollare all’istante l’intera economia europea, e buona parte di quella mondiale.

Nel caso islandese Olanda e Gran Bretagna, i due stati creditori, hanno già provveduto a rimborsare i propri cittadini titolari del conto IceSave, che sta alla base della controversia, dunque, i due governi si sono fatti carico di tale debito. Significa che quei quattro miliardi circa di credito che i due paesi avevano verso l’Islanda non ci sono più e non sono stati considerati nel bilancio statale. Le ripercussioni sui cittadini sono state quindi praticamente impercettibili. Il peso specifico che questa cifra assume sull’economia britannica o olandese non è paragonabile a quello che avrebbe assunto sull’Islanda.Diciamo che la mossa islandese é stata ispirata dalle gesta di Robin Hood.

Il debito italiano, invece, é suddiviso tra numerosi investitori stranieri, non solo europei, ma anche arabi, cinesi ed americani. L’imponenza del debito italiano, suggerisce che la mancata liquidazione dei creditori, non sarebbe praticamente indolore come in Islanda. Causerebbe non pochi disagi alle altre nazioni. Forse addirittura un domino di bancarotte di banche ed istituti finanziari, che purtroppo danneggerebbero anche gli incolpevoli cittadini stranieri dei paesi creditori. La questione del debito italiano è cosa decisamente più complessa. Per ogni stato col cappio al collo, strozzato dal debito, c’è un paese creditore che senza quel credito si troverebbe nella medesima situazione.

Inoltre va ricordato che la faccenda del debito islandese non è ancora del tutto chiusa. Nonostante i cittadini islandesi si siano pronunciati per ben due volte sulla questione, è ancora aperta lacontroversia a livello internazionale, con Inghilterra ed Olanda che si sono tutt’altro che rassegnate a veder sfumare i propri investimenti.

Hanno fatto bene gli islandesi?

Una delle critiche ricorrenti contro la rivolta islandese é: “Finché le cose andavano bene erano tutti contenti, poi quando si sono messe male nessuno voleva più pagare”. Effettivamente il 900% di crescita iniziale della borsa avrà pur portato un bel pò di ricchezza alla popolazione. Ma è bene notare che:

  • Chi si arricchisce veramente sono le banche. Le ricchezze accumulate dai banchieri nonsono paragonabili con quelle ‘di riflesso’ degli altri cittadini;
  • Chi è responsabile dello sviluppo sfrenato è anche consapevole delle fragili basi su cui esso posa, mentre i cittadini sono spesso indotti a credere che tale sviluppo sia solido e potenzialmente infinito. Le banche giocavano con il fuoco consapevolmente: gli islandesi ne erano completamente all’oscuro.

Il comportamento degli islandesi é quindi quanto meno criticabile. Effettivamente se ne sono un pò sbattuti dei cittadini olandesi e inglesi che ci hanno rimesso. Seppur il 99% del conto lo abbiano pagato i ricchi speculatori finanziari e le banche, tutto ciò non può che aver danneggiato, seppur in minima parte, anche alcuni onesti risparmiatori.

L’ipotesi italiana:

In Italia, una rivoluzione, come detto, avrebbe ripercussioni catastrofiche, dato che dobbiamo soldi a mezzo Mondo. Io la rivoluzione la voglio, ma non é giusto che qualche altro cittadino paghi la rivalsa dei nostri diritti. Ciò che propongo é semplice: facciamo unReferendum anche in Italia, riprendiamoci il nostro debito e liquidiamo solo i creditori onesti, i piccoli risparmiatori e le aziende internazionali che hanno investito nel nostro Paese.

Fanculo invece alla finanza globale, alle banche e al Nuovo Ordine Mondiale che ci vuole tenere per le palle. Fanculo anche al FMI e alla BCE, nonchéalla loro marionetta: Monti. Che ci minaccino, che ci taglino gli aiuti economici, che facciano pure intimidazioni a tutti coloro che intendono fare accordi commerciali con l’Italia. Dobbiamo avere coraggio, riprenderci la nostra sovranità, la nostra economia e imparare a stare in piedi da soli.

Il Mondo intero é figlio di Greci e Romani. Oggi ci vogliono schiacciare. I barbari che prima ci hanno invaso e che noi abbiamo educato, ora sono i nostri indiscussi padroni. É giunto il momento di ripristinare il Classico Ordine Mondiale, quello in cui Italiani e Greci insegnarono all’ Europa a leggere e scrivere. Insegnamogli ora il vero significato di Democrazia e di Rivoluzione, di Sovranità Popolare e di Carta Dei Diritti dell’ Uomo. Altro che Nuovo Ordine Mondiale!

Stiamo uscendo – noi, come gran parte del mondo – in modo piuttosto brusco e doloroso da un periodo di crescita sfrenata e di benessere diffuso. Andiamo certamente verso una fase di pesanti ristrettezze, inutile negarlo. La via d’uscita indicata come inevitabile dai potentati finanziari internazionali passa per privatizzazioni, perdita di diritti, rinuncia alla sovranità popolare. L’Islanda indica un’altra via percorribile. Il fatto che la Rivoluzione Islandese sia stata ovattata da tutti i media mondiali significa che, Merkel e compagnia bella, si sono accorti che qualcosa può far saltare i loro piani di arricchimento sfrenato ai danni dei singoli cittadini, su cui scaricare tutto il peso delle scellerate speculazioni e delle spregiudicate transazioni finanziarie che hanno prodotto la crisi.

Cosa può insegnarci la Rivoluzione d’Islanda?

In primis che la via d’uscita dalla crisi che ci vogliono imporre dall’alto, non è inevitabile. Il sistema capitalistico e consumistico assoluto sta fallendo. Non lo dico io, la crisi globale ne é la prova. Il sistema si autoalimenta con una maggiore concentrazione delle ricchezze e del potere nelle mani di pochi, e la conseguente perdita dei diritti e dei beni da parte del ceto medio-basso. I tanti poveri pagano per gli errori dei pochi ricchi. Ciò non é più tollerabile. Gli Islandesi l’hanno compreso prima di tutti, ed in questo non possono che essere presi ad esempio. Oggi, forse per la prima volta nella storia, i cittadini hanno modo di essere informati e consapevoli di quello che gli sta accadendo attorno. Il web é un’arma potentissima che dobbiamo usare per ribellarci. l’Islanda ha da insegnarci anche in questo campo: la rivolta popolare é nata sui blog. La stesura della nuovaCostituzione Islandese viene quotidianamente ed attivamente dibattuta sui blog e sui social network dall’ intera popolazione. I più attivi sono i giovani. In Islanda propongono, dibattono e trattano di libertà ed uguaglianza. In Italia sono schiacciati dalla disoccupazione e fanno quello che il governo più vecchio del Mondo (con una preoccupante media di 64 anni d’età) gli dice.

Il bivio:

Se in Italia ci svegliamo possiamo trasformare la crisi in un enorme incubatore di democrazia. Attualmente siamo difronte ad un bivio. Dobbiamo scegliere che strada prendere. la scelta é epocale, ed avrà ripercussioni per secoli e secoli sulle generazioni future: possiamo imboccare la strada europea, quella degli aiuti da parte di Bce e Fmi e della svendita a privati dell’intero settore pubblico, della rinuncia ai beni comuni e ai diritti; oppure la strada islandese, della riappropriazione dei diritti e del potere decisionale, della democrazia diretta e partecipata.

Dopo tutto questo discorso spero che anche per voi sia palese quale delle due strade sia la migliore. Loro erano in 320 mila, noi siamo 60 milioni. Coordinarci sarà più difficile, ma faremmo molto più rumore. Altro che Rivoluzione Silenziosa, la nostra farà un casino pazzesco.

Link: http://ilcorsivoquotidiano.net/2011/12/14/rivoluzione-islandese/

“Guerra delle bandiere”, una guerra persa in partenza

“Sono spazi di libertà”, sostengono i cittadini a proposito dei vessilli referendari apposti su finestre e balconi privati, mentre per il PdL novellarese si tratta “di propaganda elettorale fuori dalle zone autorizzate”. Riflessioni sull’inopportunità legale e politica di questo tipo di argomenti nei confronti dell’unico strumento di democrazia diretta a disposizione dei cittadini

Alessandro Cagossi (West Virginia University, Dipartimento di Scienze Politiche)

La querelle sui vessilli elettorali partita dal Pdl novellarese a metà maggio ha trovato spazio non solo sui giornali locali ma anche sui media nazionali. Come ricercatore di scienze politiche, indipendente e non iscritto a nessun partito, mi sono sentito in dovere di dire la mia su questa vicenda. Premetto che all’epoca dei fatti (poco dopo metà maggio) mi trovavo negli Stati Uniti ma la massiccia copertura mediatica della vicenda mi ha permesso di ricostruire i fatti e di conseguenza prendere posizione.
La notizia la conoscono in molti ma vale la pena di riassumerla. A Novellara il consigliere comunale del Pdl Cristina Fantinati ha scritto al sindaco, al prefetto e alla polizia municipale chiedendo di eliminare le bandiere dei vari movimenti per i referendum sull’acqua e sul nucleare esposti su finestre, balconi e cancelli di abitazioni private perchè si tratta “di propaganda elettorale fuori dalle zone autorizzate”. Il Pdl ha fatto leva su una legge del 1956 che vieta ogni forma di propanganda (pena una sanzione che può arrivare a 1000 euro) nei trenta giorni precedenti la data fissata per elezioni o referendum. Di conseguenza, gli esponenti del partito di Berlusconi ne hanno richiesto la rimozione.
La legge del 1956, che è stata anche pubblicata nel sito online di qualche prefettura in occasione del recente referendum, proibisce “l’affissione o l’esposizione di stampati, giornali murali e manifesti, di striscioni o drappi, di cartelli, di targhe, stendardi, tende, ombrelloni attinenti, direttamente o indirettamente, la propaganda elettorale in qualsiasi altro luogo pubblico o aperto al pubblico, nelle vetrine dei negozi, sulle porte, sui portoni, sulle saracinesche, sugli infissi di finestre e balconi, sugli alberi o sui pali ancorati al suolo”.
Ritengo che sia dal punto di vista giuridico sia da quello politico l’iniziativa portata avanti dal Pdl novellarese sia risultata alquanto inopportuna. A livello giuridico, innazitutto, ci sono varie spigolature legali che avrebbero suggerito maggior prudenza. Innanzitutto, se sul balcone di casa espongo un vessillo con su scritto “no al nucleare” sto esprimendo una mia opinione e nessuno mi puo’ vietare questa libertà. In realtà, dopo l’esposto del Pdl, perfino l’oratorio cittadino ha ritenuto di rimuovere uno striscione che ricordava che “l’acqua è un bene di Dio e a disposizione di tutti”. Dimostrare da un punto di vista legale che queste sono indicazioni di voto è praticamente impossibile.
Le legge è la legge ma invece di insistere su una legge sbagliata che si presta a molteplici interpretazioni, sarebbe più opportuno adoperarsi per cambiarla, quella legge. Non a caso due esponenti dell’opposizione, Valerio Onida del PD e l’avvocato Pietro Adami dell’Italia dei Valori si sono espressi in maniera diametralmente opposta sul tema, a dimostrazione che il consenso non esiste sul tema.
Infatti, la legge del 1956 parrebbe essere molto chiara ma non dichiara espressamente il divieto di fare propaganda in luoghi privati. Questo potrebbe essere visto come un cavillo ma chi ha subito l’azione della polizia municipale può fare ricorso reclamando che il diritto di espressione nel proprio privato è prevalente sulla necessità, pur legittima, di evitare abusi elettorali o referendari. E il giudice potrà richiedere l’intervento della corte costituzionale per dirimere la questione. Resta inteso che affiggere cartelli elettorali o referendari con indicazioni di voto in zone pubbliche non autorizzate come ai lati della strada, su cavalcavia o su rotonde, rimane illegale.
Infine, anche se la legge del 1956 non risulta essere stata abrogata, la corte costituzionale nel 1995 chiamata ad esprimersi su un referendum organizzato proprio in quell’anno ha sentenziato che il divieto espresso dalla legge del 1956 non si applica al referendum perché, in estrema semplificazione, referendum e elezioni politiche sono fattispecie diverse e quindi la propaganda elettorale e le campagne referendarie vanno disciplinate in modi differenti. La pubblicità elettorale di un candidato si esprime con nomi e simboli di partito, mentre la promozione di un referendum non implica simboli politici, nomi di candidati, o indicazioni di voto.
Chi si appella alla legge del 1956 ritiene che la sentenza del 1995 si applicasse solo al referendum tenutosi proprio in quell’anno e non a quelli successivi, come quello recente. Ma allora non si capisce come mai il referendum del 1995 debba essersi tenuto con regole valide solo in quell’occasione e poi nei seguenti si sia tornati ai divieti del 1956.
E’ giusto che la giustizia vada perseguita anche nelle piccole cose e che le regole vadano fatte rispettare, ma con ragionevolezza e con le giuste cautele. Insomma, cavillo legale contro cavillo legale, diverse concezioni della giurisprudenza e potenziali conflitti tra diritti su cui ci si potrebbe confrontare all’infinito fanno apparire inappropriata (se non del tutto sterile) l’iniziativa del Pdl novellarese.
A livello politico credo che sia stato quantomeno inopportuno andarsi a insabbiare in argomenti che molti ritengono urticanti proprio perché vanno a toccare nel vivo prerogative morali ed etiche come la libertà di espressione delle persone, soprattutto nel proprio privato. Altri argomenti non c’erano? Per esempio degno di nota è stato l’incontro organizzato in aprile dal Pdl novellarese con Franco Battaglia, noto sostenitore del nucleare. Promuovere iniziative per informare i cittadini, in un modo o nell’altro, è lodevole.
Innanzitutto c’è da chierersi quali benefici abbiano avuto i promotori di una iniziativa del genere. Non molti, tanto che anche Ercole Cigarini portavoce del Pdl di Cadelbosco Sopra ha definito la guerra delle bandiere “un autogol da autolesionisti”. Giustamente, Cigarini fa notare che gli orientamenti delle persone sui temi referendari spesso non sono legati ad appartenenze politiche, e quindi l’iniziativa del Pdl novellarese sarà andato a discapito anche di elettori di centrodestra. Tecnicamente, lasciando o togliendo le bandiere referendarie non si favorisce nè si penalizza nessun partito. “Non esagerei rispetto a chi espone vessilli nelle proprie abitazioni” ha detto il consigliere regionale del Pdl Fabio Filippi, mentre la Lega Nord in evidente imbarazzo ha preferito tacere lasciando solo il partito alleato.
Questo tipo di iniziativa, poi, si è prestata a facili strumentalizzazioni da parte degli avversari politici che hanno tacciato il Pdl di promuovere crociate oscurantiste per impedire ai cittadini di esprimersi liberamente a casa propria. Addirittura c’é chi ha scritto che Fantinati ha segnalato di volta in volta tutte le case e i luoghi privati di Novellara in cui comparivano questi manifesti chiedendo che la polizia municipale intervenisse per rimuoverli. Magari non sarà vero, ma si tratta di un’iniziativa che si presta a questo tipo di attacchi.
Non stupisce neppure che molti cittadini abbiano reagito veementemente ritenendo l’iniziativa del Pdl come un tentativo di intididazione o censura piuttosto che un genuino desiderio di far rispettare la legge. “Nessuno può entrare a casa mia per togliere una bandiera dove esprimo un’opinione” ha affermato una donna intervistata da una televisione locale. E a livello popolare la guerra delle bandiere ha scatenato una vera e propria rivolta con un numero ancora maggiore di drappi esposti in tutta la provincia.
Mi fermo qui, anche se ce ne sarebbero molte altre da dire: sul rispetto della legge, innanzitutto, i cittadini si aspettano comportamenti esemplari dai propri rappresentanti che non credo ultimanente si siano particolarmente distinti in tal senso: Berlusconi che ha cercato invano di annullare i referendum; le televisioni che stanno boicottando la campagna di informazione referendaria, nonostante sia obbligatorio per legge informare i cittadini; si sa che il centrodestra è favorevole al nucleare ma che  l’opinione pubblica non la pensa così dopo il disastro giapponese. E via dicendo.
Credo che la guerra delle bandiere promossa dal PdL locale abbia significato avventurasi in un terreno minato da dove sarebbe stato meglio stare alla larga. Non credo neppure che questo sia il tipo di libertà che hanno in mente gli elettori del Popolo delle Libertà. Concludo facendo notare che i difensori della privacy di Berlusconi sostenevano che “non si guarda dal buco della serratura” quando si trattava di difenderlo dagli scandali sessuali. Alla luce di quel principio non credo che il Pdl possa permettersi di mettere il naso sui balconi dei novellaresi come è stato fatto recentemente.

Iniziativa PD sul tema Acqua Pubblica

Per parlare di acqua pubblica e della sua storia, prima del referendum,  il Circolo del Partito Democratico di Novellara presenta uno spettacolo teatrale presso il campo di pallacanestro, in zona Parco Primavera, giovedì 9 giugno alle ore 21.30.
“Acquedotto e ricostruzione: l’acqua nella bassa”
,  frutto delle ricerche di Massimo Pancaldi è messo in scena e recitato da Saverio Mazzoni. Lo spettacolo racconta di un acquedotto come prodotto della società, che coinvolge il paese, le elezioni comunali, le proteste dei disoccupati, le interrogazioni in Parlamento, i corteggiamenti alla fontana. E narra dei problemi attuali e della preoccupazione per il futuro dell’acqua e dei fiumi.

Vi aspettiamo numerosi!

Biciclettata attraverso Novellara con bandiere tricolore, acqua pubblica e nucleare

Buongiorno, mi chiamo Paolo Bernini e faccio parte del comitato referendario acqua pubblica bene comune di Novellara. In concomitanza della festa  del 2  giugno stiamo organizzando un biciclettata attraverso Novellara. Il nostro scopo è quello di sensibilizzare tutti i cittadini verso l’importanza di questo referendum e anche di dargli visibilità perchè come pure voi sapete, attraverso i media è presente una grande disinformazione…  Avremo bandiere tricolore, acqua pubblica e nucleare (“si” per abrogare la legge che vuole la centrali) ..Alla fine della biciclettata ci recheremo tutti verso l’Arginone dove terremo un pic nic ..
per ulteriori info 
Paolo Bernini 3462212975 – Cristian Veronesi 3489107243