Caro direttore, la crisi economica sta contribuendo a trasformare il gioco d’azzardo in una pandemia. I dati di quelle che, in termine tecnico, si definiscono ludopatie sono impressionanti; gli italiani che tra i 15 e i 64 anni giocano d’azzardo sono circa 19 milioni (ma il dato pare sottostimato!). E’ indubbio che le difficoltà economiche giocano un ruolo non indifferente e le nuove generazioni che hanno lavori precari, quelli che hanno perso il lavoro, i pensionati, attraverso il gioco sembrano cercare una via di fuga dalle reti delle finanziarie e delle tassazioni di massa. Ma è solo una grande illusione. Pericolosissima. Anche la TV, (con l’esempio dei pacchi), instilla l’idea che si possa vincere senza fatica e senza abilità, frutto di una totale casualità. Giovanissimi con basso reddito e bassa istruzione, sono i più vulnerabili, come si deve registrare la fortissima avanzata degli anziani e delle donne che preferiscono l’anonimato della propria casa o di una tabaccheria. Per i più giovani trovarsi come in un grande casinò, come sono i giochi online, è compulsivo e contribuisce anche a depauperare il prezioso valore del tempo fino a consumarlo. Il giocatore in genere è una persona che fatica a tessere relazioni, che della loro compulsività si vergognano e tendono a nasconderla, soprattutto ai familiari, fino a quando le difficoltà economiche diventano sempre più forti e sempre più difficili da giustificare. La pubblicità incide anch’essa con slogan tipo <<lasciateci sognare>>; terrificante perché da una parte avverte di <<giocare responsabilmente>> mentre dall’altra legittima l’impulso al gioco. E’ fondamentale la prevenzione ma siamo di fronte ad una malattia sociale una emergenza, che in molti non sanno come combatterla. Attualmente l’unica strada in grado di ottenere risultati è quella dei gruppi di auto e mutuo aiuto, finalmente presente anche a RE dove si utilizza il metodo degli alcolisti anonimi. Si può ritrovare così quella dimensione della costruzione della vita che il gioco azzera e a ritrovare il desiderio di relazionalità: l’unico antidoto a questa grande malattia del nostro tempo.
Cordialità
Paolo Pagliani
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