PROBLEMA OCCUPAZIONE

Gentile direttore,
la disoccupazione nel nostro Paese sta assumendo dimensioni allarmanti ma per il sistema non è un problema; anzi sotto certi limiti è un bene perché mantiene bassi i salari. Solo se assume proporzioni che possono danneggiarlo, allora se ne preoccupa e naturalmente per combatterlo propone la stessa ricetta valida per tutti i mali: la crescita. Il ragionamento è semplice, dato che il lavoro è creato dalle imprese che producono per il mercato, per creare nuovi posti di lavoro bisogna ampliare il mercato, ossia il volume degli acquisti. Le cose però da tempo non funzionano più così, in quanto due fenomeni impediscono questa crescita: la tecnologia e la globalizzazione. Grazie ai programmi computerizzati, (primo), ogni macchina è diventata un robot, così l’uomo è messo sempre più da parte, relegato al rango di vigilante di imprese che progettano in Europa e (secondo), fanno produrre nell’Est europeo, Africa o Sud Est asiatico. Per conquistare il mercato una delle strategie principali è la diminuzione dei prezzi e le aziende non fanno sconti, finché non hanno in mente come ridurre i costi; pensa e ripensa è stato deciso che le spese dovevano farle, come al solito, i lavoratori. Governanti ed imprenditori approfittano di ogni occasione per ricordarci che dobbiamo rinunciare al posto fisso e porgere l’orecchio sempre più alla parola flessibilità, che in certi settori avanza, sino ad arrivare a quella tremenda parola che è licenziare. Fino a che punto nessuno sa a quali dimensioni reali assumerà la fuga, anche dal nostro Nord Est super-industrializzato, non solo i settori ad alta manovalanza ma si constata invece che sta coinvolgendo anche quelli più avanzati. E’ urgente inventare nuove strategie, perché è certo che senza la gente non andremo da nessuna parte ma la gente dov’è? Purtroppo la risposta è deludente; siamo tutti appiattiti sull’individualismo, ci siamo rassegnati ma per provocare un grande cambiamento, dobbiamo diventare un movimento visibile, di massa, identificabile con dei principi forti, universali, condivisibili, che accendano speranze, che diano voglia di impegnarsi. Un movimento che sappia coniugare globale e locale, resistenza e desistenza, difesa e riforma, presente e futuro e che si faccia interprete dei bisogni della gente. Un movimento che parta dal lavoro, dalla sicurezza sociale, dalle preoccupazioni di tutti i giorni, per smascherare le logiche di questo sistema e prospettare altri orizzonti. Alcuni recenti fatti dimostrano che qualcosa sta cambiando e allora, rimbocchiamoci le maniche e non fuggiamo via, nonostante la voglia di farlo (per molti giovani), sia ancora tanta.

Cordialmente
Paolo Pagliani
Novellara

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