NOI DELLE CASE CALDE

Migranti

In una notte come questa che c’è vento e piove forte, grato di avere una casa calda e asciutta, mi viene in mente come sarebbe, se a dover partire e lasciare tutto non fossero altri, stranieri, ma noi. Dover partire da una città in macerie per un altrove ignoto e forse ostile. Abbracciare i vecchi padri e le madri sapendo che non li rivedrai, dover partire con chi e chi lasciare a casa. Lasciare la casa in cui si è nati senza voltarsi indietro, ammassarsi su vecchi autobus e camion malconci, viaggiare come inseguiti, senza fermarsi, affamati, sporchi, nel sottofondo dolente dei pianti dei bambini. In un fagotto che tengono ben stretti dove ci sono solo coperte, medicine, poveri gioielli – e un’ultima busta di soldi. Dopo un lungo viaggio coperti di polvere fermarsi: di fronte, la distesa infinita del mare, come un muro alzato contro le loro speranze. Onde alte spazzano la riva, attorno facce di trafficanti, briganti, parole straniere e brusche, e mani svelte a picchiare. Poi scenderà la notte e tutto attorno sarà assolutamente nero; sui giacigli aleggia un pensiero, quanti sono morti in questo mare. Lo sciabordio di una vecchia barca stracarica, il cigolio sofferente del fasciame con davanti il Mediterraneo, immenso, indifferente. Finalmente al mattino, una linea di terra all’orizzonte, e nel vederla scoppia il cuore. Ma forse sarà terra di muri, di filo spinato e recinti, di soldati con i fucili spianati. In una notte d’inverno come questa, pensare: se toccasse a noi. Noi delle case calde non sappiamo immaginare, o misurare fino in fondo la massa di paura e di dolore che preme alle nostre porte. C’è una mole opaca, una dura ostilità e indifferenza da parte di molti. Fuori piove più forte, e noi serriamo le persiane delle nostre case chiudendo fuori il buio e il freddo dalle nostre stanze illuminate. Solo la compassione e la carità ci possono, noi al caldo e quegli altri che bussano e sperano, salvare.

Cordialità
Paolo Pagliani

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I FURBETTI EI BUROCRATI

burocraziaGentile direttore, le vicende sanremesi dove si timbrava il cartellino per poi andarsene per conto proprio, i cosiddetti “pianisti” in Parlamento cioè chi preme il pulsante delle presenze per l’amico che è assente, sono solo uno dei mali della nostra società. Precisamente non ho l’idea di cosa soffrano molti connazionali anche con caratteristiche virtuose ma il lamento più frequente che si ascolta alla sera, a fine giornata, è quando uno, giunto a casa, si butta su una poltrona e freme: <<Non ne posso più, sono a pezzi, stanco, stanco da morire>>. Sembra che il popolo sia a pezzi vittima di una dedizione straordinaria al lavoro come un tedesco o cinese. Analizzando per esempio la condizione del più stanco in assoluto tra gli italiani, il re della categoria degli sfiniti, che è vastissima e non sempre necessaria, è quella del burocrate. E’ colui che non deve fare assolutamente nulla ma nello stesso tempo, deve dimostrare di essere indispensabile. E quella stanchezza è giustificata poiché c’è stata una riunione che è durata sette ore; tutto quel tempo non è nemmeno bastato, in quanto all’ordine del giorno non c’era nulla e sul nulla occorreva poter esprimere opinioni intelligenti rispettando sempre la gerarchia. Tornando a casa salendo lentamente le scale e, infilata la chiave nella toppa, con una fatica che ricorda Ercole, entra e si butta sul divano e, anche trovasse non la moglie ma l’amante nuda, non potrebbe far nulla se non dire: <<Mi dispiace ma sono stremato, sono stanchissimo, una giornata infernale>>. Queste semplici note sulla stanchezza cronica del burocrate sono nulla rispetto alla vita drammatica e per capirlo di più basterebbe leggere un trattato sulla necessità del niente, sulla fatica che comporta il non dovere far nulla, e non farlo con concetto ed eleganza, perché il burocrate sarà stanco ma è educato e formalmente ineccepibile. E’ uomo di belle maniere e anche se ci manda a quel paese, lo fa con grazia che noi ce ne andiamo contenti pur non avendo risolto i problemi perché ci pare di aver parlato con il padre eterno. Con sarcamo sferzante Ennio Flaiano bollava lo stile burocratico che imperversa negli uffici così: <<Presentano al direttore generale il progetto per lo snellimento della burocrazia. Ringrazia vivamente. Deplora l’assenza del modulo H. Conclude che passerà il progetto, per un sollecito esame, all’ufficio competente, che sta creando>>. Passano gli anni, si moltiplicano le riforme, cambiano i governi ma i burocrati, caro direttore, son sempre lì, pietrificati e immobili davanti alle loro scrivanie.
Cordialità
Paolo Pagliani
Farmacia Web

BUROCRAZIA E CORRUZIONE

informativa-antimafia-atipica-260x300Gentile direttore quando si affronta il tema corruzione è sempre frequente il rischio di cadere in una posizione retorica dove alla scontata enunciazione sui mali della stessa, corrisponde l’assenza di una concreta indicazione sulle misure capaci di debellarla. Tuttavia il contrasto alla corruzione, per essere realmente efficace, deve superare forse l’ostacolo più insidioso rappresentato dalla tendenza a ritenere che una maggiore tutela della legalità possa essere conseguita con l’emanazione di nuove norme che, per contro, diventano spesso un inestricabile groviglio di procedure e codicilli in grado di rallentare il più semplice processo decisionale. Emblematico, in tale prospettiva, è il sistema di protezione degli appalti pubblici dalle infiltrazioni della criminalità organizzata, la cosiddetta <<certificazione antimafia>>, ove il riconoscimento formale previsto dalla legge non è preceduto, nè seguìto, da attività efficienti di verifica sotto il profilo sostanziale, cosi spesso è risultato sufficiente il ricorso a semplici espedienti da parte di associazioni a delinquere, come la fittizia interposta persona, per eluderlo con successo. Un controllo statale confinato alla sola sfera burocratica è destinato a risultare vano. Mancano da noi in Italia inoltre, disposizioni adeguate sulla trasparenza nel finanziamento della politica, sul conflitto d’interessi dei parlamentari, una regolamentazione del fare lobby e, prima tra gli altri, un’adeguata disciplina sugli appalti pubblici. E’ assurdo e deprimente, rinunciare a realizzare un’opera pubblica solo perchè questa insiste su un’area geografica a rischio infiltrazione e corruzione. Se un’opera serve alla collettività, non è inutile e porta sviluppo, la si fa e basta, nel rispetto delle leggi e della trasparenza. Negli ultimi trenta anni abbiamo accumulato ritardi che ne stanno minando la nostra appartenenza al novero delle nazioni industrializzate. Non dimentichiamolo.
Cordialità
Paolo Pagliani

LO SPRECO DI UN SIMBOLO: IL PANE

Pane
Gentile direttore, leggevo che secondo studi presentati dalla Coldiretti, ogni giorno nel nostro Paese buttiamo via 13 mila quintali di pane su una produzione totale di 72. 000 q.li prodotti giornalmente. Un’assurdità. con il pane che si spreca ogni giorno si potrebbe riempire lo stadio di Reggio. Una vergogna. Anche se l’effetto della crisi costringe il 45% degli italiani a mangiare il pane avanzato ll giorno prima, il binomio pane sperpero è legato alla grande distribuzione. Infatti quello che rimane dopo la chiusura è tecnicamente un rifiuto per legge, perché ora mille norme impongono insacchettamento, etichettatura, analisi Asl…: Il gioco non vale la candela, nè per chi vorrebbe offrirlo per chi teoricamente vorrebbe consumarlo, come le Associazioni caritatevoli, che, fatti due conti, tra indicazioni di legge sugli alimenti, costi di di furgoni, addetti e carburante, spenderebbero più che acquistarlo fresco. Fa male pensare che tutto questo sia inevitabile, che qualcosa di buono e utile sia considerato un vuoto a perdere; che del pane al macero si parli così poco. Sorprende che nei giorni dell’Expo e dei proclami contro lo spreco alimentare, non arrivi dalle Autorità una proposta concreta per una normativa sul recupero del cibo. Quella del pane nella spazzatura è un’offesa ma l’inerzia politica e i vincoli imposti, lasciano alla buona volontà dei singoli e al mondo del volontariato l’unica strada per limitare uno spreco assurdo. Con l’abbondanza del superfluo abbiamo ridotto il pane a merce avariata, come il cibo che ogni anno buttiamo nelle pattumiere ignorando quanto potrebbe valere il recupero per il fantomatico Pil dimenticando pure che gli italiani che vivono sotto la soglia di povertà sono 7,6 milioni. E che un pezzo di pane ha ancora un valore, anche se qualche dieta lo sconsiglia.
Cordialità
Paolo Pagliani
yoganato

LEGGERE PER DISCERNERE

28.07.13web
Gentile direttore,dietologi e alimentaristi dicono: <<Dimmi cosa mangi e ti dirò come crescerai>>. In molti, forse con più verità, affermano:<<Dimmi cosa leggi e ti dirò cosa pensi>>. Il desiderio di “informazione” ci spinge ad ampliare l’ambito delle nostre letture. Ma la decisione di coltivare la nostra formazione richiede di aprirci a punti di vista diversi, a valutazioni allargate e obiettive della realtà. Non possiamo leggere tutto e ascoltare tutti. Per questo è importante fare delle scelte attraverso una opzione culturale e ragionata delle proprie letture. Si dice pure: <<Dimmi con chi vai e ti dirò chi sei>>. Scegliere cosa leggere significa dunque scegliere la propria angolazione da cui osservare il mondo e la propria vita. Significa scegliere da chi farsi aiutare a giudicare, a scegliere e scartare. Mai si dirà abbastanza contro l’approssimazione che impera in molti testi, specialmente giornalistici. E’ necessario coltivare l’esattezza della notizia, la documentazione scrupolosa, la ricerca diligente, il rigore mentale e la verifica meticolosa. Francesco Bacone filosofo, scriveva: <<Leggere rende un uomo completo. Parlare lo rende pronto. Scrivere lo rende preciso>>. Come non dargli ragione.
Cordialità
Paolo Pagliani
180 pagine    Costo 11,40€ + spese di spedizione 3,60€ POSTEPAY 4023-6009-0376-5313 C.F. TRRGPP68T10Z133H > Riempire il form del Blog o scrivere a giuseppeturrisi@yahoo.it indicando Nome Cognome ed Indirizzo completo di CAP e sarà spedito nel più breve tempo possibile

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DOVE STIAMO ANDANDO ?

Dio-su-facebook-coloredGentile direttore,molte volte mi son sentito porre questa domanda conversando con amici e conoscenti, pure io me la sono posta senza trovare una risposta soddisfacente; <<Ma dove stiamo andando?>>. In questi ultimi tempi abbiamo assistito ad avvenimenti sconcertanti; sono rinati o continuano conflitti che l’ostinazione e la irragionevolezza umana stanno riprendendo. Leggiamo e sentiamo commenti di inimmaginabile disumanità sui naufraghi del Mediterraneo e di coniugi che fino a ieri andavano d’amore e d’accordo e improvvisamente si rivelano assassini. E’ vero, di simili tragedie: <<ci sono sempre state>> dicono quelli che vogliono sminuirne la gravità. Siamo però in presenza di fatti che rivelano una mentalità che ha smarrito i valori e i criteri fondamentali: il valore della vita umana, il rispetto della persona, il dialogo come soluzione dei conflitti, la solidarietà, la compassione e la tolleranza in un mondo che sembra avvitarsi in un narcisismo che vede solo se stesso, i propri bisogni e i propri interessi, disposto ad eliminare senza pietà chi non li condivide. “E’ bello spaccare tutto…”, diceva un manifestante anti-Expo. Dobbiamo riconoscere di esser davanti a un generale scollamento di quei valori che, tenendoli collegati, sostenevano l’esistenza e che ora invece finiscono per scontrarsi tra di loro e auto distruggersi. Siamo alla bancarotta dell’umanesimo, effetto paradossale dell’informazione che invece di collegare le persone, le isola, rendendole più vulnerabili nella loro solitudine.. Deve rinascere – e tocca a noi esserne i diffusori – un umanesimo, che sembra nuovo ma è più antico della modernità, che punti al rilancio della convivenza civile nel rispetto della persona e della sua dignità cominciando dai più poveri e dai più deboli.
Cordialità
Paolo Pagliani

IL PUDORE DERISO

auto-di-lusso-dubaiGentile direttore, ci troviamo in un momento dell’evoluzione del sistema capitalistico in cui si può acquistare di tutto. I soli problemi concreti potrebbero essere quello del prezzo da pagare e, più che dalla voglia di possedere questo o quel bene, quello del bisogno di averlo. Il meccanismo della pubblicità consiste nel far vendere. Il mercato non consulta il desiderio dei consumatori ma lo provoca. E, per farlo, lo mette in mostra. La leva principale usata dalla pubblicità resta l’erotizzazione dei beni di consumo con le tecniche cambiate. Prima, per esempio, si suggeriva che l’acquisto di una bella macchina avrebbe aumentato il fascino del guidatore. Oggi, nella berlina o nel coupè è già piazzata una promettente <<bella creatura>> poco vestita, come se fosse offerta al futuro proprietario dell’automobile. Il corpo della donna viene presentato, allo stesso titolo dell’auto, come un bene di consumo di cui si può entrare in possesso. <<Ogni pudore non è forse svalutato a iosa, in una società fondata sul vendere che fa dell’esibizione la molla dello spettacolo pubblicitario? Possiamo dargli spazio e pensarlo in modo positivo? Non è certo. La pubblicità ci ha reso coriacei, duri d’orecchio, con l’occhio disincantato. Assuefatti come siamo alle più incongrue sconcezze – come le allusioni a proposito dei vasetti di yogurt – abbiamo forse perduto quel segreto discernimento che deriva dal pudore e gli permette di manifestarsi>>. Com’è possibile che qualcuno si interessi ancora a quel valore vecchio, (il pudore), passato di moda, che non soltanto sembra del tutto caduto in desuetudine ma che, se qualche volta gli capita ancora di manifestarsi, viene per lo più deriso?

Cordialità
Paolo Pagliani