Gentile direttore, ci troviamo in un momento dell’evoluzione del sistema capitalistico in cui si può acquistare di tutto. I soli problemi concreti potrebbero essere quello del prezzo da pagare e, più che dalla voglia di possedere questo o quel bene, quello del bisogno di averlo. Il meccanismo della pubblicità consiste nel far vendere. Il mercato non consulta il desiderio dei consumatori ma lo provoca. E, per farlo, lo mette in mostra. La leva principale usata dalla pubblicità resta l’erotizzazione dei beni di consumo con le tecniche cambiate. Prima, per esempio, si suggeriva che l’acquisto di una bella macchina avrebbe aumentato il fascino del guidatore. Oggi, nella berlina o nel coupè è già piazzata una promettente <<bella creatura>> poco vestita, come se fosse offerta al futuro proprietario dell’automobile. Il corpo della donna viene presentato, allo stesso titolo dell’auto, come un bene di consumo di cui si può entrare in possesso. <<Ogni pudore non è forse svalutato a iosa, in una società fondata sul vendere che fa dell’esibizione la molla dello spettacolo pubblicitario? Possiamo dargli spazio e pensarlo in modo positivo? Non è certo. La pubblicità ci ha reso coriacei, duri d’orecchio, con l’occhio disincantato. Assuefatti come siamo alle più incongrue sconcezze – come le allusioni a proposito dei vasetti di yogurt – abbiamo forse perduto quel segreto discernimento che deriva dal pudore e gli permette di manifestarsi>>. Com’è possibile che qualcuno si interessi ancora a quel valore vecchio, (il pudore), passato di moda, che non soltanto sembra del tutto caduto in desuetudine ma che, se qualche volta gli capita ancora di manifestarsi, viene per lo più deriso?
Cordialità
Paolo Pagliani