L’INDIFFERENZA GLOBALIZZATA

Schermata 2015-05-15 a 18.30.47Gentile direttore, all’inizio del secolo scorso Antonio Gramsci in un articolo sferzante così si pronunciava: <<Indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita. Perciò odio gli indifferenti>>, pochi mesi orsono pure Papa Francesco ammoniva di non stare alla finestra, emblema di un assenteismo dalle vicende della storia. Una massa di individui che esilia il proprio agire e lascia fare. L’etichetta “indifferenti” continua a sovrastare le colonne d’inchiostro che denunciano ora la disattenzione verso la fame nel mondo, migrazioni, sfruttamento, calamità naturali e altri ancora. Risulta facile, è appurato, prestare attenzione, per un breve lasso di tempo, a una grande tragedia – si pensi alla solidarietà per Haiti e lo tsunami – molto più difficile far sì che una simile attenzione accompagni i nostri passi abituali. L’indifferenza è infatti comunemente intesa come distacco emotivo tra sé e gli altri: un’assenza di interesse nei confronti del mondo alimentata dal desiderio di non essere coinvolti in nessun modo, né in amore né in lotta, né in cooperazione né in competizione. Un’indipendenza dal carattere negativo, uno stato della mente patologico, malattia morale che si traduce nel gesto inevaso; in altri termini, essa soffoca qualsiasi tensione o spinta verso l’esterno. La moderna figura prototipica dell’indifferenza è il <<passante>>: colui che di fronte alla disgrazia altrui distoglie lo sguardo e se guarda, non vede. Questa figura , tutta presa da se stessa, sempre di fretta, avida di beni e successo, trova il suo opposto nella figura del buon samaritano, colui che è attento agli altri e pronto a portare aiuto. Due figure contrapposte che caratterizzano la messa a tema dell’altruismo. Nel clima mondiale attuale, la ricerca dei buoni samaritani è affannosa e capillare. Servirebbero invece continui esempi di sollecitudine verso i bisognosi per esorcizzare la paura dall’invasione del morbo dell’insensibilità, dall’inerzia, integrati da soggetti-schermo su cui proiettare un’immagine sana di umanità.

Cordialità 
Paolo Pagliani

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I VIAGGI DELLA SPERANZA

morti
Gentile direttore, si alza da molte parti, nonostante quelle contrarie che fanno ribrezzo, il grido di dolore per le vittime dei “viaggi della seranza” lungo il Mediterraneo dalle coste nordafricane alle sponde italiane. E’ un’ umanità ferita e umiliata che dovrebbe urlare la propria sofferenza per le morti innocenti, per le vite spezzate, per i sogni infranti di chi fugge dalla guerra e dalla miseria: giovani, donne, anziani, bambini, mamme in gravidanza, senza patria e senza famiglia, cittadini del mondo, affamati di futuro. E’ un esodo biblico che ha raggiunto dimensioni drammatiche e non c’è bisogno di interpreti per cogliere i loro sentimenti, basta guardare i visi emaciati, gli occhi impauriti, il pianto dei bambini, il loro dolore, i sentimenti, le loro attese, i loro sacrifici, le loro ansie: parlano i loro volti. Sono uomini traditi da altri uomini, rifiutati e allontanati, che cercano ospitalità e accoglienza. Abbandonati a se stessi nell’indifferenza di tanti. Ignorati da centri di potere che fanno prevalere l’egoismo del proprio Stato mettendo in campo aride logiche burocratiche nelle quali non c’è posto per i sussulti del cuore. Solo disumanità, espressa da quel triste principio per il quale il problema non è europeo ma della Nazione che accoglie i profughi; un ragionamento che ha dell’incomprensibile. Non è più tollerabile che dalle massime Organizzazioni Internazionali e particolarmente dall’Europa, non vengano attivate misure e iniziative svolte a condividere l’ immane impegno dell’Italia nel governare una vicenda umana complessa e di enormi dimensioni. Occorrerebbe definire forme di lotta alla spregiudicatezza e all’arricchimento illecito degli scafisti regolamentando gli esodi anche attraverso il controllo dell’ efficienza dei mezzi di trasporto che troppo spesso diventano veicoli di morte. Sarebbe inoltre indispensabile favorire lo sviluppo nei Paesi di origine dei migranti, attraverso politiche di cooperazione che comportino aiuti e accompagnamento nei processi di crescita locale.
Cordialità
Paolo Pagliani

NOIA E SBADIGLIO

00-sbadiglio2Gentile direttore, si nota e si sente spesso la parola noia che costituisce una sorta di emblema popolaresco di una realtà più profonda. Essa è purtroppo uno dei vessilli di tante persone del nostro tempo, <<un velo grigio e diafano>>  fatto di monotonia e indifferenza. il filosofo tedesco Heidegger la comparava a una <<nebbia silenziosa che si raccoglie negli abissi dell’esistere>>, rendendoci apatici e insoddisfatti, ma incapaci di reagire. O meglio: talora la reazione alla noia c’è ma è il puro e semplice squarcio di quella rete di una tela che avvolge la realtà e le vicende umane. Pensiamo a quei ragazzi annoiati che, per spezzare il loro vuoto, compiono atti assurdi e vandalici, devastando le loro scuole, scagliando sassi dal cavalcavia, danneggiando monumenti e giungendo persino al baratro della crudeltà appiccando fuoco a un barbone. E’ il vuoto che si trasforma in aggressione, la demotivazione che degenera in stupidità, l’inerzia che si muta in frenesia insensata. Anche se non arriveremo mai a questa soglia, dovremmo impedire alla noia di insediarsi in noi anche solo in un angolino dell’anima, in quanto questa sindrome come scriveva Leopardi <<è figlia del nulla e madre del nulla>>, consapevole di quanto essa sia in sé sterile ma che possa contaminare tutto ciò che tocca. Ecco che bisogna dunque reagire prima che ci annebbi cuore, mente e spirito.
 
Cordialità
Paolo Pagliani 
Conchiglia web

INDIFFERENZA RELIGIOSA

uomo_giovane_pregaCaro direttore, secondo recenti ricerche c’è la tendenza ormai ampiamente diffusa che mostra come sia in crescita, un particolare tipo di relazione con la religione: l’indifferenza. O in termini più sociologici la <<non affiliazione>>, la non appartenenza. Che è qualcosa diverso dall’ateismo, che ha sempre una tensione drammatica ma anche dall’agnosticismo, che comunque è l’esito di una scelta consapevole. Si tratta, più semplicemente, di una non-scelta di chi non si è posto nemmeno il problema, perché non è stato educato a farlo essendo nato in un tempo secolarizzato, in cui la religione ha perso la sua evidenza sociale sentendo questa sfera come troppo distante e dunque irrilevante rispetto alla vita. E non è un caso che queste persone aumentino percentualmente con il decrescere dell’età: pochi tra gli over 60, molti tra i <<nativi digitali>>. E’ un dato preoccupante e che deve far riflettere in quanto segnala <<un difetto di trasmissione>>, la cui responsabilità ricade sulla generazione di noi adulti, che forse ha equivocato il senso della libertà di scelta. In mancanza di precomprensione però, il terreno può essere favorevole per ascoltare una parola che, detta in linguaggio comprensibile e da persone credibili, è in realtà capace di rispondere alle parole di senso, di relazione e anche di infinito che nella rete emergono, benché lì le risposte siano povere. Sta a noi saperla pronunciare.  
Cordialmente
Paolo Pagliani

ANZIANI, TRA SOLITUDINI REALI E FALSE PERCEZIONI

Gentile direttore, secondo un recente rapporto del Censis, tre anziani su dieci ritengono di essere trattati male o con indifferenza, oltre a sentirsi più poveri e soli.
La difficoltà di allacciare relazioni sociali è nell’elenco dei loro principali problemi accanto alla scarsa capacità di spesa, alla salute e alla sicurezza. Le affezioni e le afflizioni non sono eliminabili dalla nostra vita ma per questi anziani sono un peso insopportabile se sostenuto da soli. Una risposta di accoglienza è ciò di cui è smarrito, solo e senza aiuto, ha bisogno; risposta che spesso non è più possibile trovare. Ma che dire di quegli anziani che pensano di essere trattati male o trascurati e invece non lo sono affatto? Una delle conseguenze più sconcertanti del decadimento psicofisico di alcuni anziani è il deterioramento delle relazioni con i propri cari. E’ il caso di famiglie amorevoli, di figli che vivono in casa con i propri genitori o a pochi passi da loro e non gli fanno mancare cure né affetto, ma che spesso si trovano davanti ad anziani diffidenti, scontrosi, talvolta aggressivi, convinti ingiustamente di essere maltrattati e non tollerati. Spunti paranoici fanno parte del quadro depressivo di alcuni insieme ad un’alterata percezione della realtà, deliri persecutori, gelosia, false credenze. Queste manifestazioni del tutto ingiustificate agli occhi dei familiari che dedicano tempo ed amore per il benessere dei loro cari, provocano una serie di reazioni a catena che possono compromettere ulteriormente le relazioni: tensioni, discussioni, liti, sensi di colpa di figli, che sentono salire in loro un’ostilità, “un’ingratitudine”, con l’accusa di indifferenza, cinismo, maltrattamento.
Quando la situazione è questa, il ricorso a geriatri competenti può bloccare la spirale di conflitti familiari e riportare la convivenza su un piano più accettabile. Serve uno specialista che abbia umanità e doti psicologiche in grado di coinvolgere nell’intervento terapeutico sia l’anziano sia i familiari con cui vive. Nessun facile ottimismo, nessuna guarigione miracolosa ma soltanto l’ennesima riprova che la competenza professionale, accompagnata dall’umanità dei medici, può tranquillizzare i pazienti ed i loro cari e metterli in condizione di trarre il massimo dalla terapia. Inoltre, sarà più facile che l’anziano continui a far parte di una rete di relazioni specifiche in un ambiente che conosce e nel quale è vissuto per tanti anni dando il meglio di sé, poco o tanto che sia.

Cordialità
Paolo Pagliani