Non siamo un’isola felice… Ma lo siamo mai stati?

ubriaco-di-pubblicitc3a0Scrivo questi pensieri spronato da una serie di eventi che si sono verificati, e si verificano nel nostro territorio, nei nostri paesi, anche nelle nostre più piccole frazioni.
Mi riferisco a feste paesane o anche sagre che degenerano in rave party con gruppi di adolescenti letteralmente ubriachi, che perdono il controllo di se stessi e delle proprie azioni, episodi di bullismo ecc… Lo sappiamo l’alcool è da “sempre” presente nella nostra realtà montana, si dice che è un fatto culturale. Chissà che cultura è!!!
Ma sappiamo anche che la droga non manca dalle nostre parti, non la si vede circolare ma c’è !!! Chi ne fa uso sa bene dove trovarla; come non mancano anche altre forme di dipendenze: come il gioco d’azzardo.
Non è tante volte un problema che riguarda i giovani soltanto anzi, più volte sono problemi che i giovani percepiscono, vedono in noi adulti. Potremmo scrivere a lungo nel cercare di fare mille analisi, oppure molte righe di descrizione di questi fenomeni, vorrei piuttosto provocare una riflessione nelle nostre comunità sia religiose che civili. Soprattutto credo sia utile guardare avanti, al futuro, per cercare a tentoni delle soluzioni.
Quale soluzioni?
Nessuno ha ricette pronte all’uso, nessuno possiede la bacchetta magica per togliere o eliminare questi fenomeni, penso sia però necessario se possibile prevenire piuttosto che curare. Allora le questioni vanno poste a livello educativo piuttosto che repressivo o di contenimento. Parlando chiaro: non si tratta di vietare certe feste ma piuttosto vedere come eliminare certe contraddizioni, certe derive. Si tratta di “convertire” le nostre culture che legittimano l’uso di alcool o di droghe come necessarie per potersi divertire, sballare anche se fosse per una o due sere la settimana.
È necessario convertirci dall’individualismo dicendo: «Questo non mi riguarda o non interessa la mia famiglia». Un tentativo di ricerca di soluzioni è possibile solo se si passa dall’indifferenza al dire: «M’importa, m’interessa», il vecchio “I care” di “milaniana” memoria. La cultura individualistica ha contagiato anche i nostri piccoli paesi; ci siamo tutti chiusi nel privato pensando che bastava stare bene noi perché tutti stessero bene intorno a noi. Occorre che ci riprendiamo una certa “voglia di comunità” che mi sembra stiamo un po’ perdendo. È difficile interessare, far partecipare, far “uscire di casa” per problemi che riguardano il “bene comune”. Lo si vede anche dalla scarsa partecipazioni ad alcuni eventi culturali che a volte riguardano il passato, le nostre radici, ma sono la garanzia che ci interessa anche il nostro futuro.
Bisogna creare un tavolo di lavoro dove diverse realtà: parrocchie, famiglie, Comune, scuola, Croce Verde e altre agenzie educative o associazioni si mettano insieme per cercare di unire le forze e soprattutto per pensare, progettare delle strategie facendosi aiutare da chi ha già delle esperienze in questi settori come il Ceis, Cps o comunità Papa Giovanni XXIII ecc..
Registro un aumento di sofferenza nei giovani, mi pare che una grossa questione sia intorno al tema del lavoro e alle opportunità di lavoro che il nostro territorio offre: molto poche. Soprattutto dovremmo pensare delle strade per offrire loro delle opportunità: non sono tollerabili situazioni in cui aumenta l’abbandono scolastico e nello stesso tempo i giovani, rimangano disoccupati per lungo tempo. Un giovane, ma qualsiasi persona, ha bisogno di un lavoro, non solo per un discorso economico, per una giusta remunerazione, ma per una questione di dignità. Una volta si diceva che “l’ozio è il padre dei vizi”, ma è ancora così. Se non faccio della mia giornata qualcosa di ordinato, di strutturato, rischio di “lasciarmi andare”, di diventare indifferente a quello che mi circonda, quindi io posso solo pensare a sballare, a divertirmi, di non preoccuparmi di come e di che cosa posso vivere tanto qualcuno penserà a me. Oppure rischio di rinchiudermi in me stesso, ancora di più nel mio mondo, perché quello che mi circonda lo percepisco come tutto negativo. Perché se qualche contadino cerca qualcuno per la propria stalla devo rivolgersi a manodopera straniera? Ma… i nostri giovani non accettano più di fare certi lavori, si dice. Non esistono lavori poco dignitosi, non tutti devono necessariamente diventare dei laureati, anzi esiste anche il fenomeno contrario. Esistono laureati che ritornano al lavoro della terra: aprono aziende agricole, fattorie didattiche o agriturismi.
Questi sono solo alcuni pensieri scritti di getto, per provocare soprattutto dicevo una riflessione, ma anche un tavolo di lavoro che può vedere le nostre parrocchie coprotagoniste.

Don Alberto Nava

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