EMPATIA VERA VERSO CHI SOFFRE

identidad-personal-y-colectivaGentile direttore,a volte basta un semplice sguardo, una parola o un piccolo gesto per entrare nello stato d’animo di chi ci troviamo di fronte, così da esserne contagiati, coinvolti e spinti ad agire di slancio, quasi di impulso per condividere quello che accade. E’ forse questo il momento più alto, la massima espressione del <<noi>>, dello scambio umano, delle braccia protese e delle interazioni sociali. Siamo nati con una priorità assoluta, quella di comprendere le intenzioni e le emozioni degli altri; una necessità, un bisogno che si realizza con l’empatia. Questa quando nasce dalla sofferenza e dal dolore altrui, genera di fatto un legame, un <<contatto>> speciale e profondo, transitorio o permanente negli esseri umani, ma non solo tra loro. L’idea stessa di identificarsi con i molteplici affanni e le disgrazie degli altri ci aiuterebbe a dissolvere le contraddizioni di un mondo sempre più cinico e indolente verso chi soffre, i cui valori fondanti sono l’esasperata e compulsiva ricerca del profitto, rendimento e affermazione personale. Ma non è sufficiente se l’empatia autentica non è sostenuta da gesti convincenti e concreti di solidarietà o dall’indignazione per chi subisce una grave ingiustizia. Serve a poco questa <<empatia sospesa>>. Occorre esserci, calati totalmente nei panni dell’altro, fino al punto da entrare in sintonia con quello che prova, che vive e rimanerne turbati o al contrario contenti, felici come se fosse un’unica cosa, una sola emozione. Sono condizioni necessarie che contribuiscono a determinare i concetti di identità collettiva, etica condivisa e di solidarietà.
Cordialità
Paolo Pagliani
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NATALE: IL GIORNO PIU’ BELLO

cefaleaGentile direttore, ho letto fresche statistiche le quali analizzando la frequenza della distribuzione e nel ricorrere di cinque parole (dolore, ansia, stress, depressione e fatica), mettono in luce come la giornata natalizia rappresenti quella più lieta e gioiosa dell’anno. A dispetto di tanti, (tendenze recenti e permanenze di lunga durata), l’e i dispositivi simbolici che avvolgono il Natale continuano a farne una festa. Sicuramente, nostalgia di tempi belli vissuti da bambini, nell’affetto della famiglia e aspettando di scartare i regali ma anche un amarcord fattosi tanto più forte ed impellente in quest’età liquida, ipertecnologica ed estremamente precaria. In un ceto medio sempre più affaticato e che sperimenta sulla propria pelle forme di insicurezza ed impoverimento, si nota l’esigenza di pace e serenità che si associa in primis al Natale che sembra prevalere sullo stress da compere e shopping, causata da quella crisi che ha drasticamente ridotto gli slalom tra negozi e centri commerciali. Si impenna allora il desiderio di trovare nelle nostre esistenze, un’oasi di felicità che per la prima volta restituisce al Natale quella festa comunitaria, di letizia, religiosa o rilassante sopravanzando il connotato consumismo che aveva largheggiato sino a poco tempo fa. L’augurio è di ritrovare una tensione verso i valori più alti, abbandonando il chiuso orizzonte dell’egoismo e sollevandosi dal pantano della banalità e della superficialità.
                                                                                                           I più cordiali saluti
Paolo Pagliani

I VIAGGI DELLA SPERANZA

morti
Gentile direttore, si alza da molte parti, nonostante quelle contrarie che fanno ribrezzo, il grido di dolore per le vittime dei “viaggi della seranza” lungo il Mediterraneo dalle coste nordafricane alle sponde italiane. E’ un’ umanità ferita e umiliata che dovrebbe urlare la propria sofferenza per le morti innocenti, per le vite spezzate, per i sogni infranti di chi fugge dalla guerra e dalla miseria: giovani, donne, anziani, bambini, mamme in gravidanza, senza patria e senza famiglia, cittadini del mondo, affamati di futuro. E’ un esodo biblico che ha raggiunto dimensioni drammatiche e non c’è bisogno di interpreti per cogliere i loro sentimenti, basta guardare i visi emaciati, gli occhi impauriti, il pianto dei bambini, il loro dolore, i sentimenti, le loro attese, i loro sacrifici, le loro ansie: parlano i loro volti. Sono uomini traditi da altri uomini, rifiutati e allontanati, che cercano ospitalità e accoglienza. Abbandonati a se stessi nell’indifferenza di tanti. Ignorati da centri di potere che fanno prevalere l’egoismo del proprio Stato mettendo in campo aride logiche burocratiche nelle quali non c’è posto per i sussulti del cuore. Solo disumanità, espressa da quel triste principio per il quale il problema non è europeo ma della Nazione che accoglie i profughi; un ragionamento che ha dell’incomprensibile. Non è più tollerabile che dalle massime Organizzazioni Internazionali e particolarmente dall’Europa, non vengano attivate misure e iniziative svolte a condividere l’ immane impegno dell’Italia nel governare una vicenda umana complessa e di enormi dimensioni. Occorrerebbe definire forme di lotta alla spregiudicatezza e all’arricchimento illecito degli scafisti regolamentando gli esodi anche attraverso il controllo dell’ efficienza dei mezzi di trasporto che troppo spesso diventano veicoli di morte. Sarebbe inoltre indispensabile favorire lo sviluppo nei Paesi di origine dei migranti, attraverso politiche di cooperazione che comportino aiuti e accompagnamento nei processi di crescita locale.
Cordialità
Paolo Pagliani

COSA RENDE I BAMBINI PAUROSI

“A volte noi adulti non ci rendiamo conto dell’enorme lavoro che il bambino sta facendo, cercando di ordinare la realtà, di darle dei significati. Lui parte da un caos assoluto di percezioni sensoriali e gli occorre tempo per distinguerle e decodificarle, poi per imparare i nessi di causa ed effetto, poi ancora per scoprire attivamente. Per gli adulti questo è scontato, ma l’universo non si è presentato ai nostri occhi bello e fatto, tutto ordinato, siamo noi che gli abbiamo dato un senso, peraltro opinabile, ma necessario per cominciare a muoverci in un senso.
Un bambino ha tutta la vita per imparare che non esistono i buoni solo i buoni, né i cattivi solo i cattivi, che il mondo è fatto di ben altre sfumature.
Questa relatività non è adatta alla mente del bambino nelle prime fasi dello sviluppo.
All’inizio c’è bisogno di elementi semplici per cominciare ad esplorare le combinazioni ed è meglio che le cose siano stabili e ben definite….”

( P. Santagostino, 1997)

Non a caso, fra le tante che potevo scegliere, ho voluto iniziare a parlare delle ansie e angosce dei bambini attraverso le parole dello psicoanalista Santagostino, poiché ci ricorda quanto sia difficile per un bambino che non ha strumenti cognitivi e una base sicura da cui partire essere preda di paure, perché la paura che si trasforma in ansia o nel senso di angoscia paralizzante nasce soprattutto dalla non conoscenza di ciò che ci circonda e dal non aver introiettato dentro figure di riferimento contenitive e rassicuranti, ma su questo aspetto torneremo a parlarne in un capitolo specifico.
Ma intanto che cos’è la paura?
La paura è innanzitutto un sentimento, come la rabbia, la gioia, il dolore e il piacere.
Quindi fa parte integrante della nostra vita e non esiste persona che non abbia qualche genere di paura perché se la paura non esistesse noi moriremmo.
Infatti la paura è importante perché ci aiuta a rispondere nelle varie circostanze, cosicché possiamo prepararci ad agire rapidamente in situazioni di pericolo.
La paura è la risposta emotivo-comportamentale che un individuo mette in atto in presenza di una minaccia o di un pericolo ben riconoscibile.
Anche la paura è una sensazione molto legata all’ansia, ma che nasce come risposta normale ad un pericolo reale, ben identificato. Essa è un campanello d’allarme interno che ci segnala la presenza di un pericolo o di una minaccia che ci arriva dall’esterno.
Avere un po’ di paura è quindi, del tutto normale e necessario, soprattutto per i bambini, poiché li aiuta a rispondere in maniera adeguata ai vari pericoli che possono incontrare nella vita di tutti i giorni. Essa ci insegna a riconoscere le situazioni pericolose e ad affrontare l’ignoto con prudenza e ci fa reagire con la fuga di fronte ad un eventuale pericolo.
Il mondo infantile è animato da mille paure sia reali che paure irrazionali.
Le paure reali sono quelle che si provano rispetto ad una realtà esterna, quelle legate ad esperienze reali che il bambino vive e sperimenta, come ad esempio l’intensa paura che un bambino può provare quando si fa male o la paura dei rumori forti e improvvisi per i neonati, la paura del fuoco se ci si è scottati, per l’ape che ci ha punto o il cane che ci ha morso.
Le paure irrazionali sono invece quelle che vivono dentro di noi e sono scatenate da stimoli interni, dai nostri pensieri e fantasia.
Sia le paure reali che quelle irrazionali possono in alcuni casi amplificarsi e distorcersi, dando avvio a paure problematiche, ad ansie post-traumatiche o a fobie, che danneggiano il rapporto con gli altri e la realtà e minano la fiducia del bambino in se stesso.
Ma durante la crescita, i condizionamenti, la fantasia e l’immaginazione assumono un ruolo sempre più importante nello sviluppo e nel mantenimento delle paure infantili, soprattutto a causa di una più complessa strutturazione del pensiero del bambino e quindi di una maggiore capacità di anticipare conseguenze future: ad es.un bambino di 10 anni con uno sviluppo cognitivo-emozionale adeguato sa che Batman è un personaggio non reale e che quindi non può essere che nella realtà degli umani si possa arrampicarsi sui muri o volare da un grattacielo ad un altro senza correre il rischio di spiaccicarsi in strada, mentre Claudia, una bambina di 20 mesi con discrete capacità motorie, si identificò a tal punto con il personaggio che riuscì ad arrampicarsi sul tavolo e a tentare il “volo alla Batman” fortunatamente senza danni gravi alla sua persona!
Questo esempio ci porta a capire quanto sia importante per noi psicologi infantili, quando un genitore si rivolge a noi per un consulto su come affrontare le paure del proprio figlio, avere ben chiaro se si ha a che fare con paure normali legate alle diverse  fasi di sviluppo di un bambino oppure di sintomi ansiosi o di veri e propri attacchi di panico.
Le paure dei bambini spaventano spesso anche i genitori ma sono un normale momento di crescita, conoscerle  dà la possibilità ai genitori di aiutare il figlio a superarle.
Il bambino quando cresce tende ad abbandonare alcune paure ma ne compaiono altre di significato ed intensità diverse e che riflettono il suo processo di sviluppo cognitivo ed emotivo, in altre parole, il bambino crescendo tende ad abbandonare alcune paure e la stessa assume nuove connotazioni poiché cambia sia la comprensione del mondo del bambino e la sua capacità di affrontare le minacce.

COSA RENDE I BAMBINI PAUROSI
PRINCIPALI PAURE

  • Età dai 2-4
    Forti rumori, persone, situazioni, oggetti sconosciuti, cadere, distacco daigenitori, movimenti improvvisi, luci abbaglianti, ombre, animali, incubi.
  • Età dai 4-6
    Fantasmi, buio, esseri immaginari, sogni, morte, ladri.
  • Dai 6 in su
    Essere canzonati, sgridati, puniti, criticati, rimproverati o sentirsi umiliati, perdere l’amore o la stima dei genitori, dolore fisico, eventi naturali, rapporti con i coetanei, scuola, esami, sport, nudità (es. doccia, spogliatoi).

Come possiamo vedere le paure attraversano le diverse fasi dello sviluppo infantile. Non c’è nulla di strano nel fatto che un bambino provi paura, quello che deve preoccuparci sono le paure che impediscono al bambino di condurre una vita sana, le così dette paure invalidanti.
Ecco come si presentano:
Il bambino è terrorizzato, si agita anche solo all’idea di dover affrontare  la situazione a rischio; da come la sensazione di sentirsi annientato dal pericolo.
Sono paure arrivate in seguito a traumi: si manifestano sempre e solo in una situazione specifica che il bambino associa a una esperienza negativa (ad esempio un luogo chiuso dopo essere rimasto chiuso di notte in bagno).
Sono invadenti: condizionano la vita del bambino e dei genitori, impedendo alcune attività fondamentali (ad esempio affrontare uno spostamento in macchina dopo che si è rimasti coinvolti in tamponamento).
Queste paure rischiano spesso di rimanere permanenti, non si modificano nel tempo e rimangono intatte nonostante lo sviluppo del bambino, rimanendo vistosamente fuori tempo e fuori luogo e possono portare a sviluppare vere e proprie crisi d’ansia.
Il disturbo d’ansia nel bambino piccolo è spesso manifestato con sintomi quali cefalea, vomito e dolori addominali.
A partire dalla pre adolescenza le crisi assumono atteggiamenti di continua richiesta, manifestazioni di collera e alterazioni comportamentali.
Gli psicologi e i neuropsichiatri infantili prestano molta attenzione a quei bambini e ragazzi che manifestano ansia da separazione, ansia generalizzata, fobie specifiche e disturbi ossessivo compulsavi.
Ho seguito diversi casi dove bambini tra i 5 e 10 anni sentivano il bisogno compulsivo di lavarsi continuamente le mani o di ricorrere a una masturbazione eccessiva e debilitante per poter alleviare i loro stati di ansia.
Il disturbo d’ansia da separazione è più frequente nei bambini più piccoli, il disturbo d’ansia generalizzato nei più grandi, e il disturbo da panico da panico generalmente non si presenta prima della pubertà.

Dott.ssa Anna Pace