BERE TROPPO E DEPRESSIONE

Depressione
Egr. direttore, leggevo che la depressione si associa molto spesso alla dipendenza da alcol, facilitandone le ricadute. Gli psicofarmaci, per quanto utili, non bastano a fermare la dipendenza dal troppo bere. Viene ribadito che i gruppi di automutuoaiuto sono una realtà irrinunciabile, che è basato sulla reciproca comprensione e gestione di problematiche sociali e individuali con il coinvolgimento delle persone che condividono lo stesso problema. La premessa su cui si basano gli Alcolisti Anonimi dove ho partecipato alle loro cosiddette “riunioni aperte”, è il riconoscimento dell’impotenza della donna/uomo/ragazzo, di fronte all’alcol e dei danni che il proprio stato di dipendenza ha inflitto alle altre persone. I costi poi per la comunità sono incredibili: 53 miliardi di euro (3,5 del Pil) l’anno, sono le spese totali dovute all’abuso di alcol in Italia dove 8 ragazzi su 10 bevono provocando il triste primato di prima causa di morte, fra i giovani entro i 24 anni. Si sta studiando dei complessi legami esistenti tra alcolismo e disturbi dell’umore cercando di delineare le possibili strategie terapeutiche per entrambe le problematiche. Il dibattito su cosa venga prima – depressione o abuso alcolico – è tutt’ora aperto ma il trattamento deve tenere conto di questa doppia vulnerabilità. Auguriamoci che nuovi farmaci come la ketamina che sono oggetto di studio, riescano in un domani ad agire su entrambi i fronti.
Cordiali saluti
Giovanni Franzoni
Pubblicità

RUOLO VIRTUALE O REALE?

tecnostress

Gentile direttore, senza quasi rendercene conto, trascorriamo sempre più tempo frequentando spazi digitali. Nell’arco di una giornata sono aumentati i momenti in cui guardiamo le e-mail, scriviamo messaggi, postiamo sui social network, scattiamo e condividiamo foto e immagini. Tutto ciò è possibile grazie alla diffusione capillare di quei gadget elettronici che ci portiamo appresso con la scusa di essere reperibili sempre e dovunque. E’ come se vivessimo in un mondo virtuale, parallelo e integrato alla realtà dove lo spazio fisico si riduce al massimo e il tempo diventa istantaneo. Stiamo diventando degli <<abitanti digitali>> e quotidianamente alimentiamo la nostra identità virtuale. Questo processo avviene in maniera inconsapevole anche per le nuove generazioni, costrette a gestire dinamiche di crescita (appartenenza al gruppo, relazioni affettive, scoperta della propria personalità) anche in spazi on-line dove tutto viene amplificato e velocizzato. Sarebbe nostro compito rendere i giovani consapevoli di come l’ identità – che coinvolge corpo, emozioni e sentimenti – vada chiarita e preservata dentro di sé prima che sul web. Non è facile ma provando a realizzare registrando alcune esperienze significative con i ragazzi, attraverso foto, video, messaggi audio quindi accompagnandoli a rivedersi, a riconoscersi e a prendere atto dei cambiamenti avvenuti in loro ma anche nel contesto – reale e digitale – in cui vivono, può rivelarsi sicuramente educativo.

Cordiali saluti
Paolo Pagliani

NUOVA DIPENDENZA

12basics.LGentile direttore, la dipendenza da cellulare fa parte di una nuova categoria: quella della dipendenza senza sostanza.
L’uso del telefonino sta diventando sempre più eccessivo; è ormai il il mezzo privilegiato per comunicare e avere contatti con il prossimo e dimostra anche una incapacità a mantenere momenti di assenza di comunicazione.
Si registrano sempre più frequenti i casi di ansia se il telefonino è scarico o non ha segnale.
Quindi un disturbo che viene vissuto <<fisicamente>>, sulla propria pelle.
Il telefonino impone una distanza fisica dall’altro, non c’è l’incontro faccia a faccia facendo mancare tutta una serie di importanti stimoli: visivi, olfattivi, tattili.
Ormai con l’sms si litiga, si corteggia, lo si usa per tutto creando un isolamento, in cui vengono a mancare gli scambi relazionali. E in questa difficoltà non si cura la fantasia, non c’è crescita, perché ci si ritira dal mondo.
Anche i genitori, grazie al telefonino che regalano sempre più spesso ai figli, hanno questi sotto controllo, per sapere dove sono, cosa fanno.
Esso ha ormai invaso la nostra vita: si mangia, si lavora, si guida, non concentrandoci così su ciò che si fa nella telefonata, che ahinoi rimane una comunicazione incompleta.

Cordialità
Paolo Pagliani

Pesce

IL “GIOCO” E’ UNA ROVINA

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Gentile direttore, le accurate indagini degli ultimi anni hanno evidenziato una <<corrosiva>> e compulsiva dipendenza da gioco d’azzardo della popolazione giovanile. Stupisce che una buona fetta di ludopati sia rappresentanza dall’utenza femminile che nell’immaginario comune, fino a qualche tempo fa, risultava marginale. I locali da gioco specializzati sono sotto gli occhi di tutti, una sorta di pericoloso canto delle sirene, nei quali il vizio e la diabolica forza di seduzione esercitata dai tavoli da gioco, spesso si impadroniscono delle vli e confuse. Nonostante la campagna di denuncia e sensibilizzazione promossa da alcune istituzioni territoriali, il business è business e lo si deve probabilmente assecondare. Comunque il “gioco” in tutte le sue forme, dalle scommesse online, ai videopoker, fino ai più <<banali>> gratta e vinci, incide pesantemente sul sistema delle relazioni familiari e sociali; soprattutto i giovani, in preda a un’eccitazione euforica da gioco, si estraniano e si autoescludono dalla faticosa quotidianità arrivando a <<dissanguarsi>> contraendo debiti e costringendo le famiglie a farsene carico. In assenza, forse, di più appaganti stimoli esterni, deteriorano ogni legame con le attività lavorative o sviliscono le loro opportunità di studio. Giocano per soldi o per noia, rovinandosi letteralmente la vita, disgregando l’istituzione familiare e negandosi prospettive future.

Cordialmente Paolo Pagliani

info n. 349-3974777

info n. 349-3974777

FATE IL NOSTRO GIOCO

Qui Lecco Libera, che azzardo la serata sull’azzardo&#8230Gentile direttore, leggevo che due giovani comunicatori scientifici, un matematico ed un fisico, spiegano in alcune scuole altoatesine com’è facile e utile capire le leggi matematiche che regolano la fortuna alle slot machine. Essi dimostrano che il destino di ogni giocatore è perdere, premettono i due membri della Fondazione: “Fate il nostro gioco” ed allora si inizia a prendere coscienza di tanti rischi degli eccessi del gioco d’azzardo. Questa “industria” nazionale con volumi di affari in crescita, è l’altra faccia della crisi italiana dove esiste una correlazione negativa, fra la partecipazione a questi giochi e il reddito. Più basso è il reddito più si gioca a Lotterie, Gratta e vinci, nelle sale giochi. E più si esagerano le aspettative di vincita. Sosteneva un monetarista americano, Nobel in economia nel 1948, che chi ha un basso reddito ha una maggiore propensione ad assumersi un rischio, perchè il costo che sostiene non è tale da modificare il suo reddito, che al contrario in caso di vincita, migliorerebbe notevolmente e gli cambierebbe la vita. In una situazione del genere, sembra conveniente rischiare una somma modesta, pur sapendo che le probabilità di vincere restano molto ridotte. Chi è ricco, invece, non ragiona allo stesso modo, perchè il suo vantaggio sarebbe insignificante. Esiste in pratica una linea di demarcazione sociale, quasi di classe, tra chi gioca e chi no e una massa di giocatori che in Italia si va paurosamente estendendo. Non solo. La rincorsa alla fortuna sarebbe <<anticiclica>> rispetto all’andamento dell’economia. Quasi un investimento per fronteggiare la perdurante recessione, diversamente da un professionista che mi confidava che dai suoi 5 ettari di terreno, facendolo lavorare, non guadagna quasi nulla ed alla mia ingenua domanda: <<Perchè non vendi?>>, mi ha confessato che ricavando anche 150 mila euro, non gli avrebbe cambiato assolutamente niente. Beato lui che non ha problemi economici al contrario di tanti e ricordando, trovavo sempre più attuale la definizione di Cavour sul gioco d’azzardo quando lo definiva: “la tassa sui poveri”. E’ però vergognoso che lo Stato diventi biscazziere.

Il Nobel americano (1948) è Milton Friedman.

Cordialità
Paolo Pagliani

L’AZZARDO NON CHIAMIAMOLO GIOCO

Caro direttore, gli studi condotti in diverse parti del mondo ribadiscono l’accresciuta pericolosità del nuovo gioco d’azzardo che genera terribili dipendenze compulsive.
Sono state indicate tre variabili principali che sembrano aver contribuito all’aumento del “gioco” tra le fasce adulte e giovanili: la crescente liberalizzazione e maggiore tolleranza nonché l’incoraggiamento verso questa pratica percepita come innocua; la ritardata consapevolezza del problema e la scarsa attenzione ai programmi per pervenire ad una coscienza collettiva sui problemi correlati. Il fenomeno, inoltre, lo si conosce poco, né gode di prevenzione o cura sporadica riabilitativa. La fiducia nella fortuna è una caratteristica arcaica dell’ uomo e l’azzardo è una gara in cui si cerca di vincere non l’avversario ma il proprio destino. Si evidenziano alcuni fattori di rischio sugli adolescenti (13-14 anni) come l’inesperienza, il desiderio di sconfiggere la noia, il piacere di facili ricompense, le gratificazioni economiche immediate. Il gioco d’azzardo patologico rimane ancora oggi nell’immaginario sociale un fenomeno più associato al “vizio” o alla “cattiva volontà” che non al grave problema. E’ una dipendenza, in parte ancora “sommersa” quindi un qualcosa di sottostimato, non riconosciuto come malattia; certi genitori si crede siano inconsapevoli di quel che accade ai figli. La stessa parola “gioco” li tranquillizza. Occorre promuovere azioni d’informazione attraverso i mass-media sui rischi della ludopatia, informare le famiglie su questa gravissima forma di dipendenza, ottenere una diagnosi precoce del problema per poi accedere alla cura. Sarebbe opportuno vigilare sul tipo di gioco che i ragazzi intraprendono sapendo che quelli in cui ci sono di mezzo i soldi, sono trappole da evitare e che spesso sono gli adulti i cattivi maestri.

Cordialità
Paolo Pagliani

BASTA PUBBLICITÀ PER IL GIOCO

Caro direttore, è constatato che in diversi casi il gioco d’azzardo è diventato una vera piaga sociale e vien da chiedersi come sia possibile ammettere la pubblicità di questo tipo di “dipendenza” che ormai quando è compulsiva, viene riconosciuta come patologia.
E’ chiarissimo che lo Stato incassa molto denaro da questo settore ma non può non occuparsi delle categorie più a rischio e dei problemi, non marginali, che il gioco d’azzardo produce. Si cerca addirittura di incrementare alcune campagne mirate a far “giocare” i più giovani instillando l’illusione di uscire rapidamente e miracolosamente da un quadro di vita che appare frustrante; teniamo presente che sono due milioni i giovani senza lavoro e senza studio. Attraverso la pubblicità si trasmettono messaggi seducenti, che promettono qualcosa che in realtà non esiste ma che stimola questo senso della vita come azzardo. E’ indubbio che si debba intervenire, mettere un freno, specie in questo momento di accresciuta miseria, all’apertura di nuove sale da gioco, di “slot machine” che arrivano a 400 mila (e vi sono domande per introdurne altre!) ed alla pubblicità, che attrae particolarmente le categorie più deboli, i disoccupati, anziani soli e famiglie che non riescono ad arrivare alla fine del mese. La ricerca della “magia” di un momento, di una vittoria, di un gioco, contro la prospettiva di una vita difficile e pesante, che è sempre, ed è bene ripeterlo, un’ illusione.

Cordialità e buona domenica
Paolo Pagliani
Novellara