Gentile Direttore, sono rimasto sorpreso nel leggere un’indagine OCSE, non recentissima fra l’altro dove sulle “capacità fondamentali” (leggere e contare), della popolazione adulta dai 16 ai 64 anni in 24 Paesi sviluppati, l’Italia è all’ultimo posto. La ricerca della Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, parte dalla constatazione che la rivoluzione tecnologica ha prodotto trasformazioni tali nel mondo del lavoro da richiedere una serie di abilità e conoscenze nuove. La mappa delle competenze fondamentali mette in cima Giappone e Finlandia, seguiti dai Paesi del Nord Europa mentre in fondo figurano Francia Spagna e Italia (Grecia esclusa). Se è vero che il luogo di lavoro può compensare i deficit accumulati durante l’educazione scolastica, in un Paese con un alto tasso di disoccupazione ciò equivale ad un circolo vizioso: chi non lavora non può migliorare le proprie competenze e con queste cognizioni sei tagliato fuori dal mercato del lavoro. Le cifre raccolte parlano chiaro perchè le capacità linguistiche ed espressive in scala da 0 a 500, mette gli italiani pari a 250, contro una media Ocse di 273, dove uno su due è senza diploma contro il 27% della media e il divario fra Nord e Sud del Paese si conferma a tutti i livelli ma si allarga per quelli di istruzione universitaria. Il dato più drammatico è quello dei cosiddetti <>, un brutto acronimo per indicare i giovani tra i 16 e i 29 anni che non studiano né lavorano. Milioni di persone, una vera generazione perduta, il cui destino si incrocia con quello dei ragazzi che abbandonano la scuola (800 mila all’anno). Il problema è serio e sarebbe ora di invertire la rotta per combattere questa emergenza. L’impressione è che non basti stanziare fondi, (560 milioni per il triennio (2013-2015) ma che occorra un vero salto culturale per evitare di perdere un’altra generazione. Molto resta da fare però almeno adesso abbiamo iniziato a crederci nel cambiamento.
Cordialità Paolo Pagliani