Egr. direttore, sta maturando con grande fatica, tra rigurgiti di nazionalismo, localismo, settarismo, neofascismo, populismo, razzismo e xenofobia, la coscienza del mondo. Ma essa c’è e cresce. Questa è la certezza che siamo una sola umanità, fatta di tanti volti, storie, tradizioni, differenze relative, ma pur sempre la stessa umanità sulla terra che ci ospita. Nessuno è padrone, nessuno accoglie senza nel contempo essere a sua volta accolto per un verso o per l’altro. Nessuno può dire “prima noi”: tutti siamo tenuti a scoprire cosa voglia dire affrontare i problemi insieme. La fraternità e le sororità etiche dove ognuno riconosce che la sorte degli altri lo riguarda, sono lo statuto del nostro stare al mondo. L’antropologo A. Appadurai ricorda che in India si sta rafforzando un cosmopolitismo dal basso dove proprio i più poveri, anziché accanirsi contro chi è diverso e magari anche più povero di loro, imparano ad accogliere le differenze, ad apprezzarle, ad affrontare insieme i problemi posti dall’esclusione sociale e dal potere dominante. Egli ci ricorda che “l’obbligo di essere cosmopoliti è una assoluta condizione di sopravvivenza della democrazia profonda”, cioè di quella democrazia che è un modo di convivere lavorando all’attuazione dei diritti di tutti. Le identità particolari non hanno il diritto di spezzare l’unità della comunità umana universale. Non c’ è mondo comune senza coscienza etica e non c’è futuro senza che la cultura della democrazia si sviluppi.
Cordialità
Paolo Pagliani