Buon giorno amici e compagni di viaggio.
Sono Antonio e sono un alcolista.
Vi auguro serene e tranquille 24 ore piene di gioia e di pace.
Oggi come tema non vincolante vorrei parlare dell’Anonimato.
L’ Anonimato può essere considerato uno dei pilastri su cui è stato costruito l’intero Programma di recupero di AA, al punto da dare anche il nome all’Associazione.
Oggi comprendo l’anonimato in una maniera molto diversa e molto più ampia rispetto all’interpretazione che ne diedi, in un primo momento, appena entrato in Alcolisti Anonimi.
Non c’è dubbio che l’anonimato sia nato come figlio della paura. In un’epoca in cui gli alcolisti erano considerati dei degenerati, dei viziosi o, nella migliore delle ipotesi, degli squilibrati da buttare nelle prigioni o nei manicomi, non c’è da stupirsi che chi riusciva a recuperarsi non amasse particolarmente pubblicizzare la propria appartenenza a un’associazione composta esclusivamente da ubriaconi, anche se non più attivi.
Durante i primi tempi in A.A., ero tormentato dalla paura che si venisse a sapere del mio “vizio” perché credevo che gli altri non sapessero che era svanita per me la possibilità di controllare l’alcol (pura illusione, tutti se ne erano accorti).
Ero diventato rosso dalla vergogna quando chiesi a un muratore, che lavorava in zona, informazioni su dove si trovasse il Gruppo di Alcolisti Anonimi, mi sembrava che mi guardasse con sospetto, credevo si prendesse gioco di me e mi deridesse.
Fuori dal Gruppo “i terricoli”, come Carlo Coccioli ama chiamare i non alcolisti nel suo libro Uomini in Fuga, pensano che l’alcolismo sia un vizio, una debolezza, una cosa di cui vergognarsi, una cosa da guardare con disprezzo.
Quanta ignoranza c’è ancora in giro a proposito di questa malattia nonostante le molte informazioni che oggi, più di ieri, circolano.
Ma di là di questo aspetto, l’anonimato ha assunto per me, ben presto, altri e più profondi significati spirituali, come quello, ad esempio, dell’eguaglianza dei suoi membri: all’interno di un Gruppo tutti noi siamo uguali. Non importa la razza, il sesso, la religione, gli ideali politici, la cultura, la posizione sociale; tutti siamo accettati e considerati allo stesso modo, nessuno può essere estromesso, emarginato, criticato o giudicato.
All’anonimato ho anche attribuito il significato di “rinuncia”; rinuncia dalle mie richieste, molto spesso arroganti e presuntuose, dettate dal mio egoismo e dal mio orgoglio – che mi portavano all’isolamento, all’indifferenza per gli altri, ai risentimenti, all’invidia, al rancore – per avvicinarmi, inizialmente in maniera inconsapevole, a quell’umiltà che costituisce la vera chiave dell’intero Programma di recupero. L’anonimato per me, per Antonio alcolista, significa rinunciare anche al mio protagonismo per “servire” in silenzio, gratificato dall’unica grande ricompensa che ricevo aiutando gli altri e imparando ad amarli senza aspettarmi nulla in cambio.
Infatti non ho alcun motivo di darmi tante arie, per cosa poi?! Per essere stato un ubriacone? Non ero speciale quando bevevo.
Forse per aver smesso di bere? Ma non sono niente di speciale nemmeno nel mio recupero.
Smettere di bere e cercare di recuperare la sanità mentale è il minimo che potessi fare. È un mio dovere non bere più se voglio continuare a vivere sereno e in pace con il mondo, visto cosa mi succede dopo aver bevuto.
Grazie a tutti per avermi letto
Serene 24 ore