
Gentile direttore, l’espressione bufala leggo che si manifesta sempre più frequentemente sino a diventare un mantra. La usano politici, intellettuali, giornalisti che arrivano a scandire: <> oppure: <>. Il risultato è una inversione dell’onere della prova che oltraggia impunemente la logica: “Siccome nessuno ne parla, è vero”. Il gioco funziona perché si innesta in un terreno fertilissimo, la sfiducia cronica nella comunicazione ufficiale e istituzionale, i cui attori avranno anche delle responsabilità in questa degenerazione ma non al punto da doversene caricare la colpa. La prova che i vaccini provocano menomazioni ai bambini? Il silenzio degli scienziati. La conferma che i cieli sono avvelenati dalle scie chimiche? Il black out dei “giornaloni” sul tema. I migranti pagati 40 euro al giorno? La politica ha paura di farcelo sapere. Additandone la presunta censura qualsiasi bestialità può essere inoculata nel dibattito pubblico e nel nostro Paese segnato da una storia reale di omertà e depistaggi, l’effetto è decuplicato. Certamente esistono centrali premeditate di disinformazione e tribuni pronti a incassarne la cedola ma il problema è la buona fede delle “menti sospettose” sulla propensione al complottismo, che alberga in ognuno di noi e si autoalimenta nella società. La forza di questo mantra collettivo, “a mia insaputa”, è la sua spontaneità, la convinzione di esser tenuti all’oscuro di trame superiori che prolificano nei momenti di crisi e di risentimento sociale. Il nostro dibattito pubblico si può paragonare sempre più a una notte in cui tutte le vacche sono nere. Quanto all’esistenza di quelle bianche, in troppi sono ormai pronti a crederci solo a patto che nessuno ne parli.