
Gentile direttore, un Paese senza figli è il dato che emerge dalle nascite nell’ultimo anno; meno della metà che si era registrata negli anni sessanta. La crisi economica si è inserita in un quadro già non favorevole: difficoltà dei giovani a trovare lavoro e a mettere le basi di una famiglia, carenze di politiche di conciliazione tra attività lavorativa e cura dei figli, un fisco poco generoso verso le coppie con prole. Questo insieme di fattori produce, da un lato, un aumento dell’ insicurezza verso il futuro che frena la scelta di avere figli, dall’altro un aumento del rischio di impoverimento per chi sceglie di averne più di uno. La conseguenza è un Paese che anziché crescere e prosperare vede aumentare i costi degli squilibri demografici e delle disuguaglianze sociali. Il problema della denatalità tiene conto anche dell’immigrazione (15% di incidenza) ma non compensa la bassa natalità italiana. Questo anche perché i comportamenti riproduttivi della popolazione immigrata tendono nel tempo a convergere sui valori della popolazione esistente. Questo significa che dobbiamo diventare un paese che favorisce la multiculturalità, ma non rinunciare a sostenere la scelta di avere figli delle coppie italiane e straniere. L’accesso ad un’abitazione dignitosa, alla disoccupazione e alla combinazione tra tempi di lavoro e di vita, sono tutti aspetti che richiedono politiche pubbliche adeguate. Ma serve anche un comportamento culturale diverso, che riconosca non solo i diritti individuali ma anche quelli della famiglia, con particolare attenzione al benessere delle nuove generazioni.