Gentile direttore trasgredire o “deviare” fa parte del mestiere degli adolescenti. E’ una tappa persino obbligata del loro percorso di crescita, attentare al proprio limite, sperimentarsi in situazioni a rischio, provocare le risposte degli adulti e perciò la loro coerenza educativa, dimostrare a se stessi e al mondo intero quanto si valga o almeno che ci si è. Tutto questo è pericoloso ma non ancora preoccupante. Quando però si verifica un coma etilico a 13-14 anni, i ragazzi tacciono, riflettono sull’ intorno reale, l’assenza di qualcuno che manca all’ appello incute timore, dunque, c’è necessità di istruire trasmettendo nozioni, tirando fuori e costruendo insieme intuizioni, passioni e ideali nuovi. Qualcuno si ostina a sibilare che si tratta delle solite ragazzate, oppure licenziando l’ impaccio del fattaccio etichettandolo come uno schietto accadimento per perdenti. Forse però, questo qualcuno, non fa buona educazione, corretta informazione, nè un’onesta azione morale. Ci accalchiamo sulle definizioni, le spiegazioni, le castronerie adolescenziali, forse occorrerebbe “qualcuno” che facesse piazza pulita delle reiterate giustificazioni di un mondo adulto sempre più annacquato, “costretto ad educare” al dolore a alla fatica per ben camminare. Ecco cosa è preoccupante oggi: l’ esserci sottratti alle nostre responsabilità educative. Non prendere posizione. Per tanti motivi, più o meno oggettivi, aver detto ai ragazzi che va tutto bene e non ci saranno mai conseguenze per nessuno, che tutto è uguale, così costringendoli ad alzare paurosamente la soglia delle trasgressioni a disposizione. Ciò che scarseggia è la “passione per l’ educare”.
Cordialità
Paolo Pagliani