DOPO IL REFERENDUM

si-noLa botta c’è stata e di quelle che fanno male. Che fosse più facile perdere che vincere il referendum era la previsione prevalente, così come quella di una larga sconfitta al sud. Perdere 40 a 60 è andato oltre tutte le previsioni, così come perdere dappertutto salvo tre regioni.
La prima cosa da chiedersi è perché.
Le cause a mio avviso sono molteplici.
Credo si sia sottovalutato quale effetto avrebbe avuto sul referendum la rottura con Forza Italia su riforma costituzionale e legge elettorale, dopo l’elezione del Presidente della Repubblica. Oltre all’effetto sulla situazione interna al PD: è dopo quella rottura che se ne consuma un’altra, nel PD, sulla legge elettorale, con le dimissioni di Roberto Speranza da capogruppo alla Camera. Gli effetti nel PD, con molte contraddizioni secondo me, si sono avuti anche nella riforma costituzionale, sia nel passaggio al Senato alla fine del 2015 che nel referendum.
Questa sottovalutazione delle difficoltà che avremmo incontrato nella battaglia referendaria e la previsione di una vittoria certa hanno indotto Matteo Renzi a voler mettere il cappello sulla vittoria, a intestarsela. Da quel momento il referendum è diventato doppio: in parte sui contenuti della riforma, ma molto di più su Renzi e il Governo. I tentativi successivi di cambiare impostazione, accompagnati però da una campagna asfissiante del premier, non sono riusciti nell’intento di riportare il confronto sul merito.
Altro aspetto: abbiamo considerato troppo la riforma come questione istituzionale e della politica. Quando si va attorno alla Costituzione probabilmente occorre coinvolgere altri attori fin dall’inizio. Questione ovviamente molto teorica per il futuro, perché per molto tempo più nessuno penserà di cambiare l’ordinamento dello Stato. A meno che la macchina si ingolfi completamente. Se succederà si rischieranno tentativi di modificare completamente la Costituzione. Naturalmente solo destre o populisti potranno avere questo disegno, che però non va sottovalutato. Sono loro i veri vincitori del referendum. Spero che a sinistra nessuno si illuda di aver vinto.
Il referendum è diventato un referendum sul Governo e sul suo premier. Penso che l’azione del Governo Renzi sia stata straordinaria in questi anni. Mai si è messo mano a tanti interventi, a tante riforme. Con difetti ed errori, ma il bilancio è senz’altro positivo. Tra gli errori e i difetti due sono quelli che ritengo abbiano fatto perdere consenso.
Il primo è riconducibile a un’idea sbagliata del rapporto tra Governo e società. L’idea che i corpi intermedi non costituiscano più un elemento essenziale per il consenso, da una parte, e per la coesione del Paese dall’altra. Puoi non fare accordi con i sindacati, ma il confronto lo devi avere. Se sul job’s act oltre a non fare accordi definisci i sindacati una zavorra, si produce una rottura non più sanabile con parte del mondo di riferimento di una forza di centrosinistra. Questo è avvenuto su tanti aspetti, con tanti soggetti. Alla fine, se sei solo contro tutti, se dai sberle da tutte le parti, il conto si presenta ed è salato.
Il secondo errore è stato esaltare gli aspetti positivi dell’Italia e  non evidenziare gli enormi problemi che ha. Problemi la cui soluzione non può venire solo dall’azione di governo, ma da obiettivi condivisi su cui tanti soggetti devono fare una loro parte. Solo il primo Governo Prodi vi riuscì, con l’obiettivo dell’entrata nell’euro. Pertanto non è semplice. In questa fase, però, questo errore ha significato anche farci apparire lontani e distanti da quelli che soffrono di più. La sinistra c’è solo se sa rappresentare anche e soprattutto loro, altrimenti non è più riconosciuta come tale.
Vi sono poi altri due aspetti a mio avviso da sottolineare.
Nelle sconfitte o nelle vittorie senza partecipazione (tipo regionali emiliano-romagnole) dalla fine del 2014 ad oggi c’è anche l’elemento non secondario di un partito lasciato a se stesso. Nessuna riflessione sul partito e nessun investimento, salvo qualche rara eccezione, su di esso sono venuti dalla direzione nazionale. A sinistra non basa la leadership, anche forte. Ci vuole il collettivo che non sia l’insieme di fazioni e di tifosi, ma un luogo di elaborazione politica e di azione, di rapporto con la società. Questo, per me, è il maggior difetto degli ultimi anni. Se alla fine di un percorso restano solo macerie non c’è futuro.
Ho tenuto per ultimo un elemento che ha caratterizzato questo referendum. In oltre 40 anni di esperienza politica e di militanza non avevo mai visto esponenti del mio partito fare campagna contro la linea del partito e ciò che loro stessi avevano votato in Parlamento. Mai. Non si dica che la Costituzione è cosa a sé. Nel 2001 e nel 2006, in occasione degli altri due referendum, DS e centrosinistra fecero campagna referendaria compatti, nel primo caso per il SI, nel secondo per il NO. Non si dica che è stato per la legge elettorale. L’Italicum è stato approvato prima del terzo, quarto, quinto e sesto voto in Parlamento sulla riforma costituzionale. In Parlamento tutti abbiamo votato a favore su quest’ultima. Inoltre, nel PD, s era raggiunto un accordo sulle modifiche all’Italicum.
Il vero combinato disposto di questo referendum non è stato tra riforma costituzionale e Italicum, ma tra errori del leader del PD e atteggiamento, che per me resta incomprensibile, di una parte della minoranza del PD. E’ emersa per l’ennesima volta in questi 20 anni, la vocazione al suicidio del PD o del centrosinistra o prima ancora dei progressisti. Se continuerà a prevalere collezioneremo altre sconfitte.
Cosa fare ora?
A mio avviso tre cose.
Primo. Andare al voto quando avremo a disposizione due leggi elettorali omogenee tra Camera e Senato. Aggiungo: non basta l’omogeneità. Con leggi elettorali pienamene proporzionali avremo di fronte tre scenari possibili. Nel miglior caso una maggioranza (post elezioni) tra PD, centristi e Forza Italia, nel caso peggiore nessuna maggioranza e nessun Governo, in mezzo (che forse è ancora peggio) una maggioranza, sempre post elezioni, M5S, Lega e magari anche Fratelli d’Italia.
Mi guarderei dall’approvare una legge elettorale che ci porti a questo disastro.
Secondo. Cercare di prenderci il tempo prima delle elezioni per fare il Congresso del PD. Dopo un esito così negativo nel referendum mi pare indispensabile. Non ritengo condivisibili scorciatoie, tipo primarie per il candidato presidente del consiglio e rinvio del Congresso.
Terzo. Buttare subito nel cestino idee come il 40% è di Renzi. In quel 40% ci sono voti non di centrosinistra che non verrebbero al PD e a Renzi in elezioni politiche. Ci sono voti del PD che hanno votato SI’ nonostante Renzi. C’è ovviamente una bella fetta che è riconducibile a Renzi. Nel NO non ci sono certo simpatie per Renzi, ma ci sono elettori del PD. Diciamo loro che divorziamo o cerchiamo di riprendere un dialogo? Per me non c’è alternativa alla seconda strada. Il voto al referendum nella nostra provincia, dove il SI’ ha vinto con quasi 12 punti in più del dato nazionale, dimostra che una linea più dialogante alla fine paga.

On. Maino Marchi

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