Gentile direttore, è più che mai attuale un grido di allarme contro la paganità sfrenata che fa da corollario a cerimonie sacramentali come le prime comunioni, le cresime e i battesimi. I mesi di maggio e giugno, ogni anno sono i mesi che dovrebbero accostare l’uomo a Dio ma che in realtà rischiano di avvicinarlo soprattutto alle tavole imbandite e ai ludi gioiosi di una invogliante primavera inoltrata. Si stima in migliaia di euro la spesa media per festeggiare una prima comunione: non certo spesi per sfamare la disperazione del Terzo Mondo ma piuttosto per onorare la sfarzosa ingordigia di Lucullo. In maniera provocatoria: la liturgia dell’ostia consacrata, troppo spesso viene considerata come la sagra del marzapane. Non si vuole fare, con questo, l’apologia della morigeratezza ma certamente la febbre del consumismo sta tracimando ogni limite, segnando riti e valori di ben altro spessore. Fanciulli che magari entrando di rado in una chiesa, che hanno ignorato fino a quel momento la quotidianità del segno della croce e a cui stato insegnato invece l’uso del tablet e il valore della gozzoviglia. Ne sanno qualcosa i ristoratori che attendono quelle date per alzare tariffe e incassi. C’è il fotografo, gli addobbi floreali, le bomboniere, gli abiti firmati, i regali costosi; della più ostentata sontuosità non manca proprio nulla. E che dire dei banchetti di cinque-sei ore, all’insegna dello “straziati ma di cibo saziati “ dove avvengono le ammucchiate culinarie più impensabili; dalla sogliola che convive con l’abbacchio! Di un matrimonio non manca nulla, tranne la luna di miele ma solo perché ad una certa età la luna è solo la luna.
Cordialità
Paolo Pagliani