
Gentile direttore, leggevo che una rivista autorevole misura un indice molto particolare – e molto importante – della vita di un Paese: la felicità. E lo fa analizzando aspetti particolari, alcuni consueti – come la salute,
l’assenza di corruzione, le aspettative di vita, generosità, capacità di divertirsi, ridere – e altri più insoliti. Fra questi figurano
, la libertà di scelta e la possibilità di avere al fianco qualcuno su cui contare e l’altruismo. E’ la Danimarca a ottenere pieni voti seguita da Svizzera e dai Paesi anglosassoni; noi siamo al 50° posto su 156 Nazioni (male ma non malissimo); quella più triste è il Burundi preceduto da Siria e Togo. Credo che felicità non significhi assenza di dolore, di problemi, di fragilità, basti pensare che i danesi hanno incrementato l’uso degli antidepressivi del 60%. Significa invece, a mio avviso, vita sensata, condivisa con altri, concentrati sul dinamismo del voler bene a qualcuno. Quando sentiamo che le nostre giornate sono giudiziose, che abbiamo cura dell’essenziale, che ci impegniamo per ciò che ha un valore alto e permanente, nonostante le frustrazioni, le sofferenze, i limiti che scontiamo, la preoccupazione degli ultimi giorni, il filo conduttore dell’esistenza è quello di una felicità discreta, concreta, pronta alla condivisione. Si può imparare a esser felici? <<Se sappiamo cogliere una possibilità di pienezza nelle pieghe degli accadimenti>>.