
Gentile direttore, guardando i filmati e leggendo i giornali, non riesco ad immaginare ciò che provano i migranti in questi giorni, per noi festosi, in veri e propri
“campi di detenzione” come a Idomeni in Grecia. Al gelo delle lunghe notti – è passato un mese, da che li hanno bloccati al confine nei Balcani – sotto un tetto di nylon, come una quarantena per malati contagiosi. Gridano
“Open the border”, aprite il confine, per non essere dimenticati, seduti su delle pietre e sui binari della ferrovia, ognuno davanti agli altri, agli occhi della moglie, dei figli dove degrado e condizioni igienico sanitarie aumentano il rischio di epidemie. Sono dovuti andar via dal loro Paese, non per aver pane e aiuto ma per salvarsi dai bombardamenti e dai cecchini. Ora cucinare una zuppa di quattro cipolle e due pomodori, rimestata nel fondo di un barattolo di latta, nero di fuliggine, che penzola da un fuoco improvvisato, all’aperto, dove ad ardere non è la legna ma pezze di felpe e stracci di coperte sintetiche, è già molto. Tante le donne, silenziose, moltissimi i bambini (il 10% orfani), che almeno con i giochi portano un sorriso, un respiro tra le centinaia di tende a igloo sparse dappertutto a pochi passi da quel cancello chiuso. Quel grido
“Apritelo” fa male e rabbia di quella folla (15 mila) nuda di difese, provata dal dover vivere come un fuggiasco braccato. Esseri umani che sanno cosa significa il dolore non ne hanno più paura. Come quell’uomo disperato che esaurita la pazienza, si è cosparso di liquido infiammabile dandosi fuoco. Urlava:
<<Open the border>> mentre lo trasportavano all’ospedale. Mi chiedo dove sono i diritti dei rifugiati e umani e la presenza dei vigilanti dell’ Onu contro l’indifferenza della politica.
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