NOI DELLE CASE CALDE

Migranti

In una notte come questa che c’è vento e piove forte, grato di avere una casa calda e asciutta, mi viene in mente come sarebbe, se a dover partire e lasciare tutto non fossero altri, stranieri, ma noi. Dover partire da una città in macerie per un altrove ignoto e forse ostile. Abbracciare i vecchi padri e le madri sapendo che non li rivedrai, dover partire con chi e chi lasciare a casa. Lasciare la casa in cui si è nati senza voltarsi indietro, ammassarsi su vecchi autobus e camion malconci, viaggiare come inseguiti, senza fermarsi, affamati, sporchi, nel sottofondo dolente dei pianti dei bambini. In un fagotto che tengono ben stretti dove ci sono solo coperte, medicine, poveri gioielli – e un’ultima busta di soldi. Dopo un lungo viaggio coperti di polvere fermarsi: di fronte, la distesa infinita del mare, come un muro alzato contro le loro speranze. Onde alte spazzano la riva, attorno facce di trafficanti, briganti, parole straniere e brusche, e mani svelte a picchiare. Poi scenderà la notte e tutto attorno sarà assolutamente nero; sui giacigli aleggia un pensiero, quanti sono morti in questo mare. Lo sciabordio di una vecchia barca stracarica, il cigolio sofferente del fasciame con davanti il Mediterraneo, immenso, indifferente. Finalmente al mattino, una linea di terra all’orizzonte, e nel vederla scoppia il cuore. Ma forse sarà terra di muri, di filo spinato e recinti, di soldati con i fucili spianati. In una notte d’inverno come questa, pensare: se toccasse a noi. Noi delle case calde non sappiamo immaginare, o misurare fino in fondo la massa di paura e di dolore che preme alle nostre porte. C’è una mole opaca, una dura ostilità e indifferenza da parte di molti. Fuori piove più forte, e noi serriamo le persiane delle nostre case chiudendo fuori il buio e il freddo dalle nostre stanze illuminate. Solo la compassione e la carità ci possono, noi al caldo e quegli altri che bussano e sperano, salvare.

Cordialità
Paolo Pagliani

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