L’aereo atterra a San Paolo del Brasile. E’ un mattino uggioso, da clima e temperatura tipici in questa stagione ai tropici. Siamo accolti, don Nino e noi del gruppo, alla grande da padre Gianchi e altri amici di sempre. Non c’erano le fanfare, intendiamoci. Sistemati i bagagli alla bene meglio sul furgone, si parte in direzione di Jandira, propaggine di oltre 130.000 abitanti nata alla periferia di San Paolo. Sao Paulo ora è la città più grande del Brasile, oltre 20 milioni di abitanti, ed è la capitale commerciale di quella immensa nazione. A Jandira svolge, da oltre 25 anni, la sua attività umana e pastorale, appunto, padre Giancarlo Pacchin, veronese di nascita ma reggiano d’adozione, in quanto ha fatto gli studi seminariali a Reggio in compagnia sia di don Nino Ghisi che di don Carlo Fantini. Padre Gianchi, prima di approdare a Jandira ha vissuto un lunghissimo periodo tra gli indios dell’Amazzonia, vale a dire alla marginalità del cosiddetto mondo occidentale; occidentale che non sempre è equivalente od esclusivo della rappresentazione della civiltà, poiché la storia degli indios amazzonici, il loro rapporto con la natura, la cultura dell’ambiente ne fanno un popolo di alto spessore culturale per le tradizioni e la socialità che rappresentano. Ha fatto scuola, in questo senso, la mitica presenza di un loro capo storico, Chico Mendes, sindacalista, politico, ambientalista ucciso dai proprietari terrieri il 22 dicembre del 1988, di cui pare Gianchi è stato amico. Da queste brevissime note s’inquadra la figura di padre Gianchi, prete missionario ma anche uomo per gli uomini, che da sempre si batte per la crescita civile e sociale di popolazioni spesso soggiogate dalle logiche del potere, del latifondismo, degli squadroni della morte.
Ora a Jandira padre Gianchi, grazie anche ai preziosi aiuti che gli giungono dall’Italia e dalla parrocchia della Bernolda in particolare, gestisce ben sei scuole dell’infanzia, favorisce inserimenti lavorativi di persone in difficoltà e svolge attività di vario tipo. Mantiene i rapporti con i “sem terra” (i senza terra), contadini che occupano terreni incolti nelle sterminate praterie del Brasile, ma che partono senza mezzi e, perciò, senza quel minimo di struttura aziendale che giustifichi, legalmente e non solo, l’esproprio del terreno che vanno a coltivare. Un lavoro immane quello di padre Gianchi, uomo e un prete in prima linea.
A Jandira, noi del gruppo di visitatori (eravamo in sei), abbiamo trascorsi tre giorni intensi, per gli incontri fatti, per la presa di coscienza di un mondo che va capito, prima ancora di giudicarlo. Ad esempio vivere in favela, vale a dire ai margini del benessere e delle comodità è certamente una necessità o se vogliamo una costrizioni, ma può essere anche un adattarsi ad una scelta di vita che può rispondere ad alcuni canoni individuali per noi, ad onore del vero, non facilmente comprensibili.
La parte restante del viaggio del nostro gruppo, un viaggio con i trasferimenti aerei di complessivi otto giorni, si è svolta a Rio de Janeiro. Tre giorni abbondanti di turismo. Ne valeva la pena. Rio è bella e affascinate, in specie per le sue straordinarie emergenze ambientali: una splendida laguna, spiagge non solo rinomate, ma belle davvero. Il balcone del “Pan di Zucchero”, dal quale si domina una parte della laguna, la città storica e tanto altro. E il picco del Cristo. Forse la più rinomata e celebrata cartolina di Rio.
Otto giorni intensi, belli, appaganti.
Infine un invito a chi vuole a noi aggregarsi: la porta è aperta, anzi spalancata. Ci aspettano altri viaggi e appoggi alle missioni del Congo, del Brasile, del Rwanda, della Nigeria. La condizione d’accesso al gruppo è semplicissima e riguarda esclusivamente l’aspetto della condivisione dei valori di solidarietà e il fatto che i costi per i viaggi e le permanenze sono a carico di ognuno dei partecipanti, e non possono assolutamente pesare o gravare sulle risorse che si recuperano per i progetti. Altre condizioni non esistono, perciò vi aspettiamo.
Sergio, Franco, Livio, Medina, Simona (e don Nino)