
Gentile direttore, le vicende sanremesi dove si timbrava il cartellino per poi andarsene per conto proprio, i cosiddetti “pianisti” in Parlamento cioè chi preme il pulsante delle presenze per l’amico che è assente, sono solo uno dei mali della nostra società. Precisamente non ho l’idea di cosa soffrano molti connazionali anche con caratteristiche virtuose ma il lamento più frequente che si ascolta alla sera, a fine giornata, è quando uno, giunto a casa, si butta su una poltrona e freme: <<Non ne posso più, sono a pezzi, stanco, stanco da morire>>. Sembra che il popolo sia a pezzi vittima di una dedizione straordinaria al lavoro come un tedesco o cinese. Analizzando per esempio la condizione del più stanco in assoluto tra gli italiani, il re della categoria degli sfiniti, che è vastissima e non sempre necessaria, è quella del burocrate. E’ colui che non deve fare assolutamente nulla ma nello stesso tempo, deve dimostrare di essere indispensabile. E quella stanchezza è giustificata poiché c’è stata una riunione che è durata sette ore; tutto quel tempo non è nemmeno bastato, in quanto all’ordine del giorno non c’era nulla e sul nulla occorreva poter esprimere opinioni intelligenti rispettando sempre la gerarchia. Tornando a casa salendo lentamente le scale e, infilata la chiave nella toppa, con una fatica che ricorda Ercole, entra e si butta sul divano e, anche trovasse non la moglie ma l’amante nuda, non potrebbe far nulla se non dire: <<Mi dispiace ma sono stremato, sono stanchissimo, una giornata infernale>>. Queste semplici note sulla stanchezza cronica del burocrate sono nulla rispetto alla vita drammatica e per capirlo di più basterebbe leggere un trattato sulla necessità del niente, sulla fatica che comporta il non dovere far nulla, e non farlo con concetto ed eleganza, perché il burocrate sarà stanco ma è educato e formalmente ineccepibile. E’ uomo di belle maniere e anche se ci manda a quel paese, lo fa con grazia che noi ce ne andiamo contenti pur non avendo risolto i problemi perché ci pare di aver parlato con il padre eterno. Con sarcamo sferzante Ennio Flaiano bollava lo stile burocratico che imperversa negli uffici così: <<Presentano al direttore generale il progetto per lo snellimento della burocrazia. Ringrazia vivamente. Deplora l’assenza del modulo H. Conclude che passerà il progetto, per un sollecito esame, all’ufficio competente, che sta creando>>. Passano gli anni, si moltiplicano le riforme, cambiano i governi ma i burocrati, caro direttore, son sempre lì, pietrificati e immobili davanti alle loro scrivanie.