COMUNICAZIONE AIRC

È vero che, sulla base del China Study, ci sono prove scientifiche a sostegno di una dieta vegana per ridurre il rischio di cancro?

china-study_699x366 (1)NO, il China Study è stato ritenuto inattendibile dalla comunità scientifica e non vi sono studi a favore di una dieta che elimini totalmente le proteine di origine animale, in particolare i latticini.

In sintesi
· Il China Study è un ampio studio epidemiologico svolto negli anni Ottanta nella popolazione cinese, per verificare l’eventuale esistenza di un nesso tra determinati cibi e lo sviluppo di malattie cardiovascolari e cancro.
· Lo studio ha considerato 367 diversi tipi di dati e ha analizzato oltre 8.000 correlazioni fra essi e la salute della popolazione. Il numero di correlazioni studiate è stato però considerato eccessivo dagli esperti di statistica, poiché permette di dimostrare qualsiasi teoria preconcetta.
· T. Colin Campbell, l’autore del China Study, ha pubblicato i risultati in un libro e non in riviste scientifiche i cui articoli sono sottoposti a valutazione tramite il metodo del peer-review.
· Il testo afferma, fra le altre cose, che la caseina, una proteina contenuta nel latte, sarebbe un potente fertilizzante per il cancro. Fra caseina e sviluppo di tumori effettivamente esiste una relazione, che è tuttavia analoga a quella fra il cancro e altre proteine, anche di origine vegetale. In sostanza, non importa da dove proviene una proteina ma qual è il suo effetto nell’organismo.
· Sulla base degli studi sulla caseina, Campbell invoca l’abolizione totale di qualsiasi proteina e grasso animale nella dieta, in assenza tuttavia di dimostrazioni scientifiche.
· In studi effettuati con i topi la dieta di Campbell ha provocato negli animali un aumento di tumori epatici, legati alla scarsa capacità dell’organismo di eliminare le tossine per via delle carenze nutrizionali.
· Il China Study mescola indicazioni e dati corretti (come quelli sulla relazione tra consumo di carne rossa e lo sviluppo di alcuni tumori) con altre fantasiose: per questa ragione è un testo insidioso, oltre che inaffidabile.
Il China Study è una ricerca epidemiologica svolta dalla Cornell University, dall’Accademia cinese di Medicina preventiva, dall’Accademia cinese di Scienze mediche e dall’Università di Oxford che è stata avviata nel 1983 sotto la supervisione del nutrizionista T. Colin Campbell. Tra gli esperti che hanno fatto parte del gruppo di ricerca vi è anche il noto epidemiologo Richard Peto, uno dei massimi esperti di cancro e stili di vita. Lo scopo dello studio era di stabilire il nesso tra alimentazione e salute, discriminando fra cibi benefici e nocivi. Gli autori hanno considerato le abitudini degli abitanti di 128 villaggi cinesi e 65 contee, raccogliendo ben 367 diversi tipi di dati, compresi alcuni test su sangue e urina. La scelta della Cina come laboratorio di osservazione dipendeva dalla disponibilità di informazioni, legata anche al livello di controllo sociale tipico del Paese, difficilmente eguagliabile in un altro luogo.
Un libro controverso
I risultati del China Study sono stati pubblicati nel 2005 in un libro di cui si è parlato molto e che è diventato un caso editoriale. Tuttavia le conclusioni sono controverse e non del tutto condivise dalla comunità scientifica. Una delle ragioni è che lo studio non ha generato articoli pubblicati su riviste scientifiche che siano stati firmati dalla totalità dei ricercatori che vi hanno preso parte e che siano stati valutati tramite il metodo internazionale del peer-review.
Il China Study identifica alcune “malattie dell’abbondanza” (infarto, ictus, ipertensione, cancro della mammella, della prostata e del polmone, diabete e osteoporosi) legate ai comportamenti individuali e in particolare all’alimentazione. Sotto accusa sono principalmente la carne, i latticini e i grassi di origine animale, che provocherebbero, tra le altre cose, uno sviluppo puberale precoce e una più prolungata esposizione agli ormoni endogeni (cioè prodotti dall’organismo stesso). Gli effetti negativi del consumo di carne si vedrebbero soprattutto nello sviluppo del cancro della mammella, un tumore la cui incidenza (cioè il numero di donne che si ammalano) sarebbe, in Cina, cinque volte inferiore a quella degli Stati Uniti. Oltre alla dieta vegetariana, i cinesi possono contare anche sugli effetti benefici di cereali non raffinati.
Questi dati non sono una vera novità e sono stati confermati anche da altri studi, come lo studio EPIC in Europa. Ciò che la comunità scientifica ha trovato scarsamente dimostrato è il fatto che, secondo i calcoli del China Study, il consumo anche di piccolissime quantità di grassi e proteine animali (compresi quelli provenienti dai latticini, indicati come particolarmente pericolosi) porterebbe a un incremento importante del rischio. Si tratta di una differenza notevole rispetto agli altri studi epidemiologici, che hanno mostrato un aumento sì del rischio, ma graduale, tale da consentire un consumo ragionevole di questi alimenti che fanno parte da sempre della dieta umana.
Non solo. Il libro The China Study è diventato (soprattutto per via della grande esposizione mediatica dei suoi autori) una sorta di “bibbia dei vegani”. Mettendo all’indice tutti i cibi di origine animale, lo studio sulla Cina tenderebbe infatti ad avvalorare una dieta che invece altri studi epidemiologici identificano come eccessivamente restrittiva. Una quantità ragionevole di grassi di origine animale, latticini e soprattutto pesce, è infatti considerata salutare da tutte le ricerche sul legame tra alimentazione e sviluppo di malattie, fra cui il cancro.
In Italia il libro è diventato famoso dopo che la nota trasmissione televisiva “Le Iene” l’ha utilizzato per sostenere la dieta vegana nella cura del cancro. Nella trasmissione si affermava che questo tipo di dieta può curare il cancro: un’affermazione che non ha purtroppo alcun riscontro scientifico.
Perché la comunità scientifica considera il China study inaffidabile
Vi sono molte ragioni per cui la comunità scientifica non ritiene attendibili le conclusioni di questo studio così come sono esposte nel libro. La principale riguarda il metodo utilizzato per collegare le possibili cause con gli effetti. Senza entrare in dettagli statistici di difficile comprensione, è importante capire che il nesso tra un evento e un altro può essere facilmente manipolato dal punto di vista statistico se non si tengono in considerazione tutti i possibili elementi confondenti.
Negli studi epidemiologici rigorosi i legami apparenti di causa ed effetto tra eventi (detti inferenze) sono scartati dagli esperti nel processo di revisione, ma questo non è accaduto nel caso del China Study, che non lo ha affrontato. Per fare un esempio concreto, un legame apparente di causa effetto è fra il numero di morti e chi si reca in ospedale o si trova a passare per una strada: guardando al numero dei morti per numero di persone che si trovano in un certo luogo potremmo facilmente dedurre che l’ospedale è un posto potenzialmente più pericoloso di una strada. Si tratta tuttavia della classica correlazione, che non considera alcuni fatti confondenti: l’ospedale è un luogo dove si recano i malati e si assistono le persone in fin di vita, mentre per strada ci vanno tutti, sani e malati, e in un incidente può essere coinvolto chiunque, anche persone giovani e sane. Ecco, il China Study è pieno di correlazioni apparenti come questa, che avrebbero dovuto essere considerate e rimosse prima della pubblicazione.
La caseina all’indice?
Prendiamo il caso più eclatante, quello della caseina, la proteina contenuta nel latte e nei formaggi. Sulla base dei dati del China Study e del fatto che i cinesi consumano pochissimi latticini, Campbell ha dedotto che i latticini sono cancerogeni. Ha condotto anche un esperimento con topi affetti da tumori, dimostrando che togliendo la caseina si riduce la dimensione del tumore. Sembrerebbe una prova inconfutabile, con una doppia conferma, negli esseri umani e negli animali. Tuttavia Campbell non tiene in considerazione un altro dato, ottenuto nel 1989 da Schulsinger e collaboratori: un effetto analogo è ottenuto con proteine del grano, se a queste si aggiunge l’amminoacido lisina, che consente all’organismo di produrre autonomamente la caseina. In pratica non importa se la caseina proviene da una fonte animale o è prodotta a partire da un’altra proteina vegetale: quello che conta è la capacità dell’organismo di produrne a sua volta, fornendo un nutrimento al tumore.
Nella dieta di un occidentale la lisina è sempre presente, perché è uno degli otto amminoacidi essenziali che dobbiamo introdurre con la dieta, dato cheil nostro organismo non può sintetizzarlo da solo. Ormai da più di un secolo quasi nessuno soffre di carenze nutrizionali dalle nostre parti. Quindi suggerire di eliminare i latticini perché sarebbero cancerogeni, conservando però le altre proteine di origine vegetale, non ha senso. Altri studi, tra l’altro, hanno identificato nel siero di latte alcune proteine che hanno l’effetto opposto, ovvero hanno proprietà antitumorali. Non solo: i topi di Campbell, con dieta priva di caseina, dopo qualche anno hanno sviluppato un cancro del fegato associato alla carenza di alcune proteine. Tali proteine erano necessarie al corretto funzionamento di questo organo, la cui funzione principale è l’eliminazione delle tossine dall’organismo.
Questo è solo uno degli innumerevoli esempi di analisi “selettiva” delle prove scientifiche, di cui è pieno il China Study. La conclusione secondo la quale i Paesi dove si consuma più latte sono anche quelli in cui si muore di più di tumore non tiene conto di altri fattori importanti, come il fatto che sono anche i Paesi dove si vive più a lungo (e l’età è un fattore di rischio importante per lo sviluppo di un cancro), e dove, all’epoca dello studio, erano maggiori sia l’inquinamento ambientale, sia la sedentarietà.
Troppi dati e troppe correlazioni
Il China Study ha anche altri difetti di metodo: per esempio mette in relazione un numero enorme di variabili (367, come si è detto, con oltre 8.000 diverse correlazioni) e ciò consente, con appropriati utilizzi della statistica e in assenza di studi di controllo, di dimostrare pressoché qualsiasi teoria preconcetta. Una giovane blogger americana, Denise Minger, ha trascorso circa un mese e mezzo ad analizzare i dati del China Study, valutandone tutte le correlazioni e producendo una critica precisa e puntuale delle molte affermazioni contenute nel libro. Minger è così diventata un punto di riferimento in materia anche per la comunità scientifica (qui si possono leggere i suoi post).
Nella maggior parte dei casi le affermazioni di Campbell e del suo libro non reggono alla prova dei numeri contenuti proprio negli studi che descrive. In particolare Campbell generalizza alcuni dati che riguardano una proteina specifica, studiata in modo isolato e senza tenere conto degli effetti di una dieta varia, per arrivare all’erronea conclusione che sia consigliabile eliminare qualsiasi proteina animale.
In conclusione, quindi, si può scegliere di diventare vegani, ma al momento non vi sono prove che ciò sia utile o benefico dal punto di vista della salute.
Rimane però il fatto che ricerche più serie del China Study dimostrano che una riduzione delle proteine e dei grassi animali diminuisce il rischio di sviluppare un tumore, all’interno però di una dieta varia che comprenda latte, uova e pesce. Anche un consumo saltuario di carne è compatibile con una nutrizione equilibrata.

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