Il grande PROGETTO di Novellara
Cadelbosco, Castelnuovo, Meletole e Gualtieri.
Probabilmente qualche calciofilo novellarese si sarà chiesto come mai i ragazzini, che nel dopo scuola giocano al campetto di via Falasca, non indossano i pantaloncini della Novellara Sportiva ma, da qualche anno a questa parte, sono soliti vestire quelli del Progetto Intesa. Effettivamente un occhio attento avrà notato che il settore giovanile e la scuola calcio di Novellara fanno parte del Progetto Intesa All Camp. Cos’è il Progetto Intesa vi state chiedendo? Per togliere ogni dubbio è sufficiente fare un click so Google e cercare il sito web della società. Si clicca su “Società”, dunque “Storia”, ed ecco la risposta: “Il settore giovanile Progetto Intesa All Camp è stato costituito nel 1998 per volontà delle società: Pol.Meletolese S.E., U.S. Aquile Oratorio Gualtieri (ora Gualtieri calcio), Circolo Arci -Il Palazzo di S.Vittoria-, con l’intento di proporre insegnamento e cultura per una nuova realtà calcistica.” Per capirci: è la società di calcio curante il settore giovanile nei comuni di Cadelbosco, Castelnuovo Sotto, Gualtieri e Novellara.
Per spiegarvelo meglio ho deciso di intervistare il Prof. Andrea Dallasta che, quando non è a scuola (attualmente insegna alle scuole superiori di Guastalla), veste i panni di allenatore/coordinatore dell’area Novellara del Progetto Intesa.
Una volta un giornalista locale definì il Progetto Intesa come la “multinazionale del calcio” a causa del grande numero di tesserati e della vasta area ricoperta. Spiegaci un po’ come funziona questa società.
“Eh, in effetti, siamo circa seicento iscritti”. Dice sorridendo, con il sarcasmo di chi sa cosa vuol dire gestire un’ area tanto estesa e tanto complessa. “Essendo l’unione di quattro comuni (Novellara, Cadelbosco, Gualtieri e Castelnuovo Sotto che comprende anche Meletole) si lavora sul posto con la scuola calcio (dai 6 ai 12 anni) mentre, dai 13 anni (Giovanissimi) fino ad arrivare all’ ultimo anno della cat. Allievi, le squadre delle varie aree vengono unite formandone, solitamente, due per ogni categoria. Vengono dunque strutturati gruppi di livello differente con l’ obiettivo di dare ad ogni ragazzino una possibilità di gioco ad hoc per il proprio livello tecnico. Ciò garantisce una crescita migliore, sia di quelli “tecnicamente più avanti” sia di quelli più “indietro”, potendosi misurare ed allenare con altri atleti del proprio calibro. Per quanto riguarda la scuola calcio, invece, ogni area dai 6 ai 12 anni ha un coordinatore. Ognuna lavora sugli stessi obiettivi, in modo che, quando i ragazzi verranno uniti, troveranno un linguaggio comune ed una condivisione di valori che facilitino la loro integrazione.”
Quali sono la “mission” della società e i “core value”, ovvero i valori fondamentali, che gli allenatori del Progetto Intesa trasmettono ai loro ragazzi?
Il nostro lavoro ha come obiettivo primario la formazione del ragazzo (inteso come persona) e della sua personalità attraverso lo sport. Tutto ciò avviene seguendo un percorso, in modo tale che, ogni annata sia collegata a quella successiva. Solo così si può lavorare sulla crescita dei ragazzi: ogni anno è la conseguenza di quello precedente e lavora per costruire quello successivo dal punto di vista degli aspetti tecnici e dei valori condivisi. Non si mette mai il punto dopo una stagione. Ci deve essere una consequenzialità tale per cui, il ragazzo, si orienti nel percorso formativo. I nostri valori sono rappresentati da tutto ciò che concerne lo stare in gruppo e il mettersi nei panni degli altri. È fondamentale per i ragazzi capire che il gruppo ha regole implicite, le quali devono essere condivise e non imposte. Poi ciò che fa la differenza è l’ autorevolezza delle singole persone facenti parte del Progetto(gli allenatori), scelte dai coordinatori in base alle attitudini. Sono proprio gli allenatori/educatori che hanno il dovere di condividere i “core value” della società con il gruppo che gestiscono, coniugando bene i valori educativi dello sport ai principi tecnici. Tutto ciò avviene all’ interno di un percorso in cui viene privilegiato il bene comune (in questo caso la squadra). Si vuole vivere l’ agonismo in maniera educativa e costruttiva. Poi ovviamente, come accade in altri contesti, i risultati dipendono soprattutto dalle capacità di chi lavora intorno alla squadra. Condividere una filosofia di base è comunque necessario per far sì che si remi tutti nella stessa direzione.
Hai detto che dai 6 ai 12 anni si chiama: scuola calcio. Io allora ti chiedo: il calcio può essere una scuola?
Se intendiamo, con il termine scuola, un mezzo per crescere come persone il calcio lo è certamente. Lo deve essere. Anche per crescere come giocatori.
È però impossibile, a mio modo di vedere, che il calcio (o per meglio dire: lo sport) si sostituisca alla scuola.
Questo è sicuramente impossibile. Ma è molto possibile che ci sia una “rete” tra calcio e scuola. Nella quale i valori che si ritrovano sono (si spera) gli stessi.
Quanto può beneficiare il ragazzo di questa “rete”? In termini sia di prestazioni sportive che di risultati scolastici.
Preferisco andare oltre queste due chiavi di lettura. Credo ne benefici tantissimo in termini di crescita personale. Quindi nella consapevolezza dei valori che fanno parte della propria persona e della società. Il ragazzo riesce cioè, nel tempo, ritrovando gli stessi messaggi che ha trovato sul campo (relativi allo stare insieme e ai diritti e ai doveri), a capire che siamo tutti agevolati ad avere sia compagni, sia noi stessi, pronti per la partita (che metaforicamente può rappresentare molto più di un match). Faccio un esempio: se dico ad un ragazzo che, nel caso in cui non si dovesse comportare bene, salterà la partita, lui si comporta bene perché vuole scendere in campo. Ma, così facendo, faccio leva sul tasto della paura, e appena il ragazzo sa che quel pericolo non c’è si comporterà male. È invece ben diverso se il ragazzo arriva a comportarsi bene perché sa che, così facendo, sarà pronto per la partita.
In poche parole il calcio è lo specchio della vita mi sembra di capire…
Beh si. In tutte le varie nicchie della società, c’è la società stessa. Ogni parte è parte di un tutto. Quindi la “rete” tra calcio e scuola io la vedo nei valori educativi che sia la scuola, sia lo sport, possono trasmettere. È necessario fare attenzione perché questi valori possono venire meno nella scuola come nello sport. Ad esempio, parlo da docente, a scuola può venir meno quando un’ insegnante non ascolta i ragazzi e si chiude nelle proprie certezze imponendo modelli di vita, andando oltre i confini della libertà individuale. E nel calcio quando assistiamo a modelli diseducativi, che però non rappresentano lo sport.
Quanto è importante che il genitore comprenda i messaggi degli allenatori e degli insegnanti?
È fondamentale. Lo è perché il genitore è parte della rete. Rete che non creiamo noi (noi intesi come scuola calcio) ma che contribuiamo a creare. Da parte nostra, come Progetto Intesa, ricerchiamo un dialogo costante sia con i genitori sia con la scuola (dove i nostri istruttori, attraverso un progetto di motoria, hanno dato il via ad un confronto con la scuola nel quale ci si rende consapevoli a vicenda delle situazioni dei ragazzi. C’è così un ritorno reciproco di informazioni che rafforzano il messaggio educativo stesso). Per questo credo molto nelle riunioni che facciamo con i papà e le mamme dei nostri atleti, nelle quali si parla del lavoro che si sta facendo con i bimbi per poi dare ai genitori gli “occhiali” per ritrovare i nostri principi nella partita, al di là del risultato. È bello vedere un genitore che, anche se hai perso, applaude perché comunque hai espresso un buon gioco.
Da quello che dici emerge l’ importanza della figura dell’ allenatore. Possiamo dire che il Progetto Intesa è anche un scuola di allenatori oltre che di giocatori?
Si è molto importante la figura dell’ allenatore. È compito dei coordinatori delle varie aree condividere con gli allenatori la filosofia ed il metodo del lavoro sul campo. Come Progetto Intesa facciamo serate rivolte all’ aggiornamento tecnico dei trainers, altre che hanno come obiettivo l’ aggiornamento comunicativo sia tra di noi addetti ai lavori che nei confronti dei ragazzi. Inoltre abbiamo intrapreso un percorso formativo per i nostri allenatori sul tema della comunicazione con l’ aiuto di due psicologi.
I valori che vengono portati sul campo dagli istruttori della scuola calcio (6-12 anni) emergono poi nell’ area agonistica in termini di risultati e prestazioni?
Si vedono alla grande. Questo perché c’è, nei ragazzi, una maggior consapevolezza ed un radicamento di determinati comportamenti. Che sono sia comportamenti in senso lato sia tecnici. Una filosofia di gruppo e di gioco che è necessaria per dare un’ identità al settore giovanile e che fa la differenza una volta che i ragazzi giocheranno in categoria. Questo accade anche ad alto livello. Le squadre che vincono con continuità negli anni sono solo quelle che hanno alla base le più grandi scuole calcio, intese sia in termini tecnici che in termini di valori umani portati sul campo (vedi Barcellona, Manchester United e Bayern Monaco…per citarne alcune).
E se un ragazzo non diventa un calciatore? Quello che ha imparato dallo sport lo aiuterà nella sua formazione professionale?
Avendo un ragazzo appreso dallo sport valori di vita se li ritroverà sia nel calcio sia fuori da questo. Ma tutto è collegato: sport, scuola, famiglia etc. Non può essere altrimenti. Ad esempio capire che, per stare all’ interno di un gruppo, si devono rispettare determinate regole vale tanto in una squadra di calcio, quanto in un ufficio, in una banca o in una fabbrica. Allenarsi al massimo per ottenere una maglia da titolare non è poi molto diverso dal lavorare sodo per ottenere una promozione al lavoro o un buon voto in un esame.
Ti è capitato di assistere, anche durante partite, ad episodi diseducativi? Se sì, come vengono gestiti?
Quando capita di solito c’entrano i genitori (ride). Comunque si, è capitato. Sia con genitori o allenatori avversari che con dei nostri. Può succedere quando, un adulto, non coglie il messaggio di fondo e la sua “cecità” non gli permette di guardare oltre al risultato. Se capita con uno dei nostri l’ allenatore e il coordinatore parlano poi con il genitore, a maggior ragione se il suo comportamento è maleducato e volgare. Detto questo, quando capita di assistere ad esempi negativi li si affronta intervenendo, sempre con grande serenità, tenendo presente il fine educativo che lo sport deve avere. Si guardano in faccia i ragazzi e gli si spiega che dal calcio si imparano tante cose ma, a volte, ci sono atteggiamenti maleducati che è giusto condannare. Quest’anno siamo andati a vedere una partita di serie A (Milan-Torino) al termine della quale, abbiamo intervistato i bimbi e abbiamo chiesto quali, a loro modo di vedere, erano stati gli aspetti positivi e quali quelli negativi. Non a caso hanno condannato i cori contro gli avversari e hanno però esaltato l’ agonismo e l’ impegno dei giocatori in campo. Lo sport (come la vita stessa) è pieno di esempi, sia negativi sia positivi. Sta a noi cogliere ciò che merita di essere colto. L’ agonismo stesso, sempre se vissuto in modo intelligente, è una cosa molto positiva: insegna a mettere tutto sé stesso per raggiungere un obiettivo, nel rispetto di regole e valori.
Giacomo Beltrami